149. Performance partecipativa YOU’RE OUT a Berlino

La seconda performance con i rifugiati che feci a Berlino, con l’aiuto della troupe di Zachary Kerschberg (v. post precedente), si intitola YOU’RE OUT e prende spunto dal gioco delle ‘sedie musicali’ che si faceva quando si era piccoli: c’è sempre qualcuno escluso perchè non c’è un posto per tutti.

 

Ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno partecipato alla performance, i cameraman che hanno fatto le riprese, Zach e la sua troupe per l’organizzazione e specialmente Dominique Morales che è stata splendida nel fornirci il supporto nel trovare le sedie, il musicista e molti partecipanti.

 

Ed ecco a voi alcune foto e il comunicato di questa bella performance partecipativa realizzata a Berlino in Oranineplatz, la simbolica piazza che ha ospitato il campo di protesta dei rifugiati per più di un anno.

 

 

LIUBA, YOU ARE OUT, Oranienplatz, Kreuzberg, Berlino, 16/11/14

Performance partecipativa per un gruppo misto di rifugiati e cittadini.

 

 

In questo progetto, che segue e sviluppa Refugees Welcome Project, LIUBA continua a concentrarsi sul problema dei rifugiati in Europa e sul problema dell’integrazione e dell’accoglienza dei rifugiati. E’ un progetto che riflette anche in generale sul concetto di espulsione da una comunità.

 

L’idea della performance è quella di giocare un gioco che simbolicamente riflette ciò che accade nella realtà: non c’è sempre abbastanza spazio per tutti. Il gioco è uno di quelli vecchi che molti di noi avranno sicuramente giocato da piccoli, permettendo alle persone di sperimentare, con i loro stessi corpi, la sensazione di essere rifiutate e la lotta per trovare un posto. Fare questa performance è un modo per avere una profonda consapevolezza su questi temi e dinamiche. E’ un lavoro sulla lotta per stabilirsi in un paese e lo sforzo e le possibilità necessarie perché abbia successo.

 

 

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La performance è concepita per includere come partecipanti gli immigrati e i cittadini, per rappresentare una società multirazziale del nostro tempo e il problema dell’integrazione che i rifugiati devono affrontare quando arrivano in un altro paese.

 

All’inizio del gioco tutti ballano a tempo di musica. Quando la musica si ferma ciascuno dovrà sedersi su una sedia, ma ci sarà una sedia in meno dei partecipanti, per cui uno di loro sarà escluso. Il gioco continua fino a che tutti saranno esclusi e si ritroverà solo una persona, da sola, nella comunità. La performance finisce con un nuovo giro del gioco con tutti i partecipanti e con una sedia per ogni partecipante: quando la musica finisce ognuno potrà trovare la propria sedia, il proprio posto, e sentirsi a casa.

 

L’idea di questo lavoro nasce dal senso di frustrazione che proviamo quando vediamo la gente che lotta per avere i documenti necessari per poter stare in un paese, che non sono libere di trovare un lavoro onestamente e sono esclusi dalla comunità. Lo stesso senso di frustrazione viene ogni volta che ci sentiamo esclusi da un gruppo, siano essi amici, familiari, nel lavoro o in un paese.

 

 

 

148. La Seconda Performance Refugees Welcome a Berlino

Nonostante il periodo difficile, come scrissi nel post precedente ho accettato l’invito di un regista americano, Zachary Kerschberg, che mi chiese di tornare a Berlino per rifare la performance Refugees Welcome, alla quale lui aveva assistito a dicembre 2013, da inserire nel film che stava facendo.

 

Mi ha commosso quando mi ha detto che era al Kreuzberg Pavillon quel giorno di dicembre 2013 quando feci la performance collettiva invitando i rifugiati in galleria, e che quella è stata la cosa più commovente e speciale a cui lui aveva assistito in quella città, e voleva inserirla nel suo film. La sua telefonata è stata musica per le mie orecchie, in un momento della mia vita così doloroso e in cui ero così persa, senza fulcro, senza famiglia, senza appartenenza, e senza sapere cosa avrei fatto e dove avrei vissuto.

 

Così abbiamo fatto un accordo: io avrei rifatto la performance veramente (ossia l’avrei fatta in uno spazio e per un pubblico e non solo per le riprese del film) e lui poteva filmarla e in cambio mi dava le riprese dei suoi cameraman, da usare per il mio video, e mi avrebbe aiutato ad organizzare la complicata logistica della performance.

Poichè avevo in mente anche una nuova idea di performance collettiva da fare con i rifugiati e a lui e alla sua troupe piacque tantissimo, decidemmo che le avremmo fatte entrambe, e che mi avrebbero aiutato a produrre e organizzare il nuovo lavoro, oltre a farci le riprese.

 

Che meraviglia e che felicità! Un invito coi fiocchi e una troupe di ragazzi in gambissima con cui lavorare , l’onore di essere cercata perchè il mio lavoro li aveva colpiti, la possibilità di produrre un nuovo lavoro che era nella mia mente… tutto era un segnale perchè io tornassi a Berlino e direi come una coccola in quel lungo periodo di lutto e solitudine estrema che stavo passando.

 

Certamente non ero molto in forma quando arrivai là, nè molto allegra e in energia nei giorni in cui sono stata a Berlino, è come se tutto fosse più difficile nel mio stato e ho fatto moltissima fatica a lavorare e a concentrarmi, ma le due performance sono venute benissimo e con l’aiuto di Zach, Dominique e tutti gli altri hanno avuto una partecipazione altissima di rifugiati, ovviamente maggiore della prima volta quando andavo in giro per Berlino da sola a conoscere i rifugiati e ad ascoltare le loro storie (v. post 132, 133, 135), anche se abbiamo comunque lavorato sodo in tanti per contattare e coinvolgere i rifugiati che volevano partecipare a questa nuova performance, aiutati da alcuni rifugiati stessi.

 

Anche questa volta la performance la feci al Kreuzberg Pavillion di Berlino, poichè i galleristi, che avevano creduto moltissimo nel progetto quando l’avevo fatto la prima volta, accettarono molto volentieri di rifare una serata speciale solo per la performance.

Ed ecco alcune foto della nuova performance, e la presentazione.

 

LIUBA, REFUGEES WELCOME, Performance interattiva e collettiva con i rifugiati e il pubblico,  Kreuzberg Pavillon, Berlino 14/11/2014

 

 

Questo progetto ripropone a grande richiesta la performance effettuata da LIUBA l’anno scorso e sarà inclusa dal regista americano Zachary Kerschberg nel suo nuovo film documentario.

 

Il progetto è’ composto da due parti: la performance in galleria, e il precedente e lungo lavoro preparatorio site-specific, consistito nel prendere contatti con rifugiati in protesta a Berlino, nel conoscerli e ascoltare le loro storie e i loro problemi, per poi invitarli a partecipare alla performance in galleria che consiste in 12 simbolici minuti di silenzio in segno dei loro diritti e della loro accettazione.

 

Alcuni concetti che hanno portato LIUBA a questo lavoro:

 

Penso che le persone e i loro problemi siano più importanti dei progetti artistici.

Porto delle persone viventi in galleria perchè le persone, le loro vite e le loro problematiche sono ciò che veramente importa adesso.

Raduno insieme persone diverse in uno stesso luogo, perchè ciascuno ha il diritto di stare in quello stesso luogo.

Voglio che le persone stiano in silenzio, osservandosi l’un l’altro. Il pubblico della galleria e i rifugiati. Osservare è il primo passo per conoscere, accettare, rispettare.

Guardare l’altro significa trovare la base comune della nostra esistenza: essere vivi adesso.

Costruisco la performance col proposito di creare esperienze personali per le persone, interiori ed esteriori.

L’arte diventa un mezzo per dare ai rifugiati un modo per essere ascoltati, per essere visibili, per essere rispettati.

 

 

 

147. Il fulcro

E’ esattamente così: avere qualcuno che ci aspetta è la cosa più bella del mondo.

I miei genitori erano il fulcro da dove partivo e tornavo, che accettavano il mio entusiasmo quando ero via che facevo cose belle, ma che si struggevano e mi struggevo quando non rimanevo tanto a Milano.

 

Ora il centro si è frantumato e sto vivendo questo dolore. Tanto più forte oggi, che sono andata nella casa dei miei a Milano, che è vuota da più di sei mesi, e che sto cercando di affrontare a piccoli passi, venendo di tanto in tanto ad aprire un cassetto o cercare qualcosa, e che mi mette un dolore lancinante di percepirli e capire che loro non ci sono più, ci sono solo le cose.

 

Non so cosa fare, non riesco ad affittarla, non riesco ad abitarci (è molto meglio della mia, che è il mio punto di appoggio a Milano), non riesco a gestirla. Ogni tanto la sto onorando facendo qualche cena e invitando amici, usando i cari servizi di piatti e posate delle feste che hanno fatto la mia storia…

Sapessi che Milano è la mia città forse saprei meglio cosa fare, ma Milano era un punto importante perchè c’erano loro, ed io andavo e venivo, e a Milano più di tanto non ci riuscivo a stare, anche perchè altrove mi era più facile fare la mia arte… ora a febbraio ho deciso che ritornerò a Berlino per finire alcuni progetti sospesi, sparpagliata più che mai, nomade come sempre, con cose care sparse in tre case in Italia e nessun luogo vero dove stare e sentirmi a casa. Sono fortunata ad avere un amore e un compagno, ora è in Italia con me, ma essendo canadese ed essendo artista, quando è in Italia non lavora e non fa molto, così è difficile per lui restare, è difficile fare programmi, e sempre più mi sento spersa, ci sentiamo confusi, come lo eravamo anche prima.

 

E’ tutto molto transitorio, mobile, sospeso. So solo che mi consento di darmi del tempo, di vivere il dolore, di avere pazienza.

Ogni tanto la carica vitale ritorna, a piccoli tratti, più forte del dolore della perdita. Sono solo momenti, ma so e sento che la vita è più forte di tutto. Ma a volte siamo così giù e così persi, così stanchi e così confusi, così tangibilmente sofferenti di non poter più sentire abbracciare parlare vedere queste persone così fisicamente presenti dentro di noi.

E’ un mistero che si fa fatica a capire, non sembra vero che c’è la casa e loro non ci sono più dentro, che fino a ieri gestivano e vivevano la casa, e ci si muovevano e respiravano, e pensavano e amavano… E per me il fatto che se ne sono andati a 3 mesi di distanza è molto complicato perchè rispetto a papà ho delle malinconie e delle struggenze, dei non detti e dei non vissuti che mi mancano e mi stendono di nostalgia, e vorrei riaverlo qui almeno una volta per stare con lui e dirci tutto, e invece la mamma con cui il rapporto era più facile ma di cui non ho avuto abbastanza, mi manca come una stella cometa, avevo bisogno di averla ancora, avevo bisogno di godere più vita in presenza con lei, e così si intrecciano questi dolori e per ognuno avresti bisogno di tempo e di completa dedizione..

 

 

Noi tre alla premiazione dell’ Ambrogino d’Oro a mio zio Elio Pagliarani, Milano 2010

 

 

 

146. Di nuovo a Berlino ma senza di lei

Non ho più scritto su questo blog per molti mesi. Amici cari, sono stata congelata e paralizzata.
Ho vissuto e sto vivendo un dolore grande che talvolta mi porta via. Sono e mi sento senza radici.
Per pudore non ho più scritto. Il dolore è qualcosa di molto privato che non vuoi e non puoi condividere. E non vado a scriverlo.
Però ho deciso che questo blog andava continuato.

 

Dall’inizio questo progetto implica un diario che racconta la vita di una persona che è artista, con le sue difficoltà e le sue gioie, i back stage, le fatiche, i successi, gli incontri, la vita quotidiana. e raccontare la vita vuol dire aprirsi e lasciarsi vedere.
E’ successo a maggio. Eravamo insieme a Berlino. Mi ha lasciato anche lei, la mia mamma. 4 mesi dopo il mio papà.
Sono rientrata in Italia e sono rimasta là. Per ora è il posto dove devo stare, poi si vedrà. Non ho più scritto. Non ho più mandato newsletter. Congelata. Persa. Vuota.

 

Ora sono ritornata a Berlino perchè mi hanno invitato a fare due performances sul progetto dei rifugiati che avevo cominciato qui.

Ho accettato di venire perchè mi sembra abbia un senso continuare ciò che avevo cominciato e non lasciare tutto al vento. Sono certa che la mia mamma l’avrebbe voluto. Ma lei non è più qui con me. Ogni strada mi ricorda il tempo felice che abbiamo passato qui insieme. E ogni strada sento la malinconia della mancanza e di ciò che non è più.

Lei era sempre felice, adorava il verde e i fiori, e la scorsa primavera il tempo era stupendo, un sacco di fiori e di alberi, abitavamo in una parte di Kreuzberg molto verde, con anche tanti parchi intorno e un bel giardino nel cortile della casa. Lei si meravigliava di tutto come una bambina. Una bambina saggia. Una persona meravigliosa. Ho condiviso con mia mamma la mia vita, la portavo anche alle mostre o ai concerti, andavamo insieme a mangiare nei localini, lei era sempre felice, e mi diceva: perchè non veniamo ad abitare qua? ed io dicevo: ci stiamo già abitando! Anche se come sempre, l’estate l’avremmo passata a Rimini nella nostra terra. Mi diceva sempre: “è meglio ridere che piangere” e non ho mai conosciuto al mondo una persona con questa dose straordinaria di ottimismo e di carica vitale come lei.

 

Grazie mamma grazie grazie grazie, mi manchi tanto tanto tanto tanto tanto. Ma so che mi stai guardando e sento pure che mi proteggi. Ci sei ancora.