175. Opening di Artissima

Sono di rientro dall’ opening di Artissima. Anche quest anno ho deciso di prendere il treno e andare a Torino – da visitatrice, niente performance e niente esposizioni – per curiosità e aggiornamento, più che per impegni o appuntamenti veri e propri.

 

Mi sembra che il concetto di Fiera dell arte sia in declino – se mai ha avuto un culmine – una grande baraonda di gente, confusione e campioni di lavori di ogni tipo ( dico ‘campioni’ nel senso di elementi unici, scollati col mondo e la produzione del singolo artista).
A volte mi diverto agli Opening  – spesso però mi sono divertita perché li criticavo o li prendevo in giro facendo una performance! –  ma questa volta mi sono abbastanza annoiata. Se devo essere sincera mi sembra quasi che le fiere d arte danneggino l’ arte invece di favorirla o divulgarla. La stragrande maggioranza del pubblico è come portato lì dal fascino di trovarsi di fronte all’ arte, ma ciò che si incontrano sono singoli lavori, alcuni di qualità e molti altri, anzi la maggior parte, di carattere prettamente decorativo o manuale o entrambi, che poi sono le cose che vendono di più. Ma ho trovato poco e nulla che mi portava la vita.
Dico che le fiere danneggiano l’Arte perché gli artisti bravi, che fanno belle opere, bisogna vederli con calma, con spazio e con molte opere, non estrapolare un oggetto dalla loro produzione, e questo proporre oggetti-opere frantuma il mondo poetico dell artista e non si coglie quasi nulla del mondo che c è dietro. Ovviamente ci sono eccezioni, ma oggi in fiera non molte. E un certo tipo di mercato e di collezionismo non solo mi irrita, ma nemmeno lo capisco.

 

Come sezioni da vedere funzionava la sezione del disegno (c’era anche l’anno scorso oppure era una novità?) è adatta per la fiera, sono opere spesso fatte per essere viste da sole, ottimi esercizi di stile ben volentieri comprabili, danno il gusto del piacere estetico della buona esecuzione.
Funziona, come sempre a Torino, la sezione dei progetti Present/Future, almeno perché sono delle sezioni monografiche e ogni artista può fare una mini personale. Quella che ho preferito è di Ludovica Carbotta. È un lavoro piuttosto denso e misterioso e decodificabile al tempo stesso. E poi lei me la ricordo bene, perché molti anni fa alla fiera di Basilea ha fatto la seconda cameraman alla mia performance ‘Art is long, Time is short’ della serie The Slowly Project, quando lei era ancora in erba.
Il lavoro di Ludovica è stato uno delle poche cose per cui è valsa la pena venire a Torino. Un altra cosa che ho trovato molto poetica erano dei lavori portati da una galleria giapponese, di artisti giapponesi, che dentro a scatole tradizionali di legno inserivano lastre con video che si muovevano, senza fili. Sono stata contenta anche di vedere nella sezione Back to the Future le sedie e le opere dell’architetto Cesare Leonardi, un grande, che avevo conosciuto perchè una sua sedia mi è stata proposta (e ovviamente accettata) per la mia performance e installazione AlphaOmega che feci per la prima volta a Modena nel 2002.
Ho avuto invece un senso di smarrimento quando ho visto da Guido Costa dei quadri di Chiara Fumai. Ho avuto questa sensazione poiché mi chiedo con inquietudine se occorre togliersi la vita per avere il sistema che si accorge della produzione di un artista. Sono contenta che Milovan Farronato l’abbia scelta per il padiglione Italia della Biennale di Venezia, sia perché mi piace che Chiara abbia il suo riconoscimento grande, un gesto di affetto che si merita, e poi perché la sua ricerca la vedo affine ai gusti di Milovan, che ha fatto benissimo a sceglierla per Venezia. Ma diverso è il fatto di vedersi dei suoi quadri in fiera. Purtroppo i pescecani arrivano quando c è di mezzo il sangue, e ciò mi da una sensazione un po’ strana, per non dire altro.

 

Mi ha anche colpito il pubblico di questo Opening. Al contrario di quasi sempre, quando incontro agli opening miriadi di persone che conosco, fra artisti curatori galleristi critici collezionisti giornalisti, quest’anno ho visto poche facce note, se si escludono quelle dei soliti galleristi che esponevano, e ciò mi stupiva un po’. Che la frequentazione delle fiere sia diventata appannaggio di una certa borghesia e di professionisti vari ma disertata dalla maggior parte degli artisti? O sono forse io che invecchio e non conosco tutte le nuove leve? ( ma i giovani nel pubblico non erano la maggioranza…), che l’arte stia diventando di moda e attiri molte fette di curiosi dell alta società (o meno) lasciando gli addetti ai lavori a casa a lavorare ? O le fiere stanno diventando così tante e così troppe e così disinteressanti che non vale la pena più seguirle? Forse tutto questo mescolato insieme?

 

Finisco ripensando, perché mentre giravo per gli stand a torino mi era ritornato in mente, quando ero qui all’Oval a Torino a fare la performance Untitled nel 2010: vestito lungo, capelli lunghi (eh sì ve lo svelo…era una parrucca!), piedi scalzi, abbracciavo tutti… poiché nelle fiere il grande assente, la grande mancanza è il rapporto umano, il calore, la vicinanza. E ancora lo penso. Un gesto di vita, di contatto umano in mezzo alle vendite, al mordi e fuggi, all’apparire, al vedere e al farsi vedere. Abbracciare la gente non è qualcosa di così strano, anche molti flash mob lo fanno (però io lo feci nel 2010, abbastanza in anticipo…), ma ciò che mi interessava era abbracciare all’opening di una fiera dell’arte, dove troppo spesso sentiamo nell’aria indifferenza, arrivismo, competizione, mercanteggiamenti, snobismo, frenesia… ma manca nei rapporti quella dose di umanità-umiltà-coraggio-calore che l’abbraccio incarna come realtà e come metafora.
Non ho ancora montato un video da quella performance, della quale ho una bellissima serie fotografica .. ecco ho deciso, sarà il prossimo lavoro di montaggio a cui mi dedicherò, fra i molti video ancora da montare e di cui sono in arretrato.
LIUBA, Untitled 2010, performance at Artissima Opening, photos by Ivo Martin

 

 

 

AGGIORNAMENTO: Il video l’ho montato e finito nel 2020, in piena pandemia, quando la tematica degli ‘abbracci’ era scottante e tabu.

 

66. Il Supermerkato di Torino

So che siete curiosi di sapere com’è andata alla Biennale di Torino, molti mi hanno chiesto il resoconto e le mie opinioni, ed eccomi qui, con calma in una giornata nevosissima in montagna (scrivo in un posto con larghe vetrate ed è bello vedere grossi fiocchi scendere da ore e ore, e vedere incicciottirsi lo strato di neve sui pini, sulle case, sulla strada e sulle macchine … ).

 

E’ il momento adatto per fare il punto della situazione, finalmente mi prendo un bel break, riposo e ripensamento su tutto. Spesso continuare ad andare avanti a fare l’artista non è proprio una cosa facile, e dopo tanto lavoro (a volte con risultati gratificanti, a volte meno) è necessario prendere un po’ di distacco dal mondo dell’arte ( … non dalla creatività).

 

Se devo essere onesta, anche la Biennale Torinese di Sgarbi ha contribuito a stancarmi e non è stata per niente gratificante, anzi pure un po’ deprimente, vedendo il modo in cui vengono fatte le cose (d’altronde non è che mi aspettavo niente da questo evento) e come sono trattati gli artisti.
La prima emozione che ho provato è stato di sforzo vano e di stress per nulla in cambio, ed irritazione per tutto. Ma veniamo ai dettagli.

 

Innanzi tutto era da quando mi avevano invitato, più di un mese prima della vernice, che, sia io che la mia assistente, abbiamo detto più volte che avrei esposto un video e chiesto se c’era l’attrezzatura appropriata, ma sino all’ultimo momento non abbiamo ricevuto risposta. Come sapete dalle puntate precedenti, non ero molto convinta di partecipare, anzi non ero convinta affatto per quanto riguarda la natura e la modalità dell’evento, ma ho ritenuto interessante partecipare per dire, con un’opera, la mia opinione e la mia perplessità. L’arte è anche un modo di comunicare, e cosa c’è di meglio che parlare con il proprio lavoro? Così, invece di rifiutare l’invito, ho preparato il video ‘Senza Parole’ e ho partecipato in maniera critica e dialettica, cosa di cui sono soddisfatta e orgogliosa … (Ma lo sforzo è valsa la pena? … ).

 

Pochi giorni prima dell’opening vengo a sapere in maniera definitiva che ogni artista si deve ‘arrangiare’, quindi per il mio video non c’è niente (“Ha un quadro o una scultura?” Era questa la domanda che mi sentivo ripetere da chiunque mi contattava o contattavo – e già questo la dice lunga sull’attualità di questa mostra … ).

Quindi dovevo portare a Torino la mia attrezzatura e lasciarla in mostra per due mesi, secondo il calendario. Ero fuori di me dal nervosismo per questa situazione: portare il mio videoproiettore e il computer (meno male che ho un secondo computer più vecchio)? comprare un monitor da lasciare lì? Già cominciavo a dare i numeri e andai a Torino, nei giorni dell’allestimento, tesa come una corda di violino (fa anche rima … ).
Per fortuna è proprio la prima volta che mi capita di essere invitata a una mostra dovendomi portare la tecnologia per esporre, e francamente spero sia anche l’ultima.

 

Arrivo alla sala Nervi, spazio meraviglioso e gigante, senza nemmeno sapere se c’era almeno una presa per ricevere la corrente e una posizione adeguata. Sono stata fortunata perché sono stata accolta in maniera molto gentile e professionale dalla ditta di allestitori che si occupava di montare tutte le opere arrivate (dicono un circa mille opere). L’architetto mi ha seguito nell’allestimento e abbiamo creato uno spazio sufficientemente buio, con una parete fittizia, per allestire il video con il videoproiettore (mio, che mi ero portata da casa!) e il loro elettricista ha risolto tutti i problemi di connessione e allacciamento per l’elettricità. Bene – ho pensato – almeno questa è fatta, e non mi sono dovuta stressare (al contrario invece di moltissimi altri artisti che, portando le loro opere, pretendevano di essere messi nello spazio più in vista di tutti e si litigavano le locations … Forse perché a me non me ne importava granché, ho avuto il trattamento migliore – così mi disse pure l’architetto … ).
Bene dunque per l’allestimento e gli allestitori, ma l’enorme quantità delle opere e gli abissi di qualità tra una e l’altra, e l’effetto vetrina-totalmente-riempita-di-un-negozio-dove-non-vedi-più-cosa-c’è-dentro, mi lasciava molto perplessa, anzi attonita.

 

Ero sempre meno convinta di avere un effetto benefico dal partecipare a questa mostra … ero pure un po’ inquieta, anche e soprattutto per il mio videoproiettore – anche se mi avevano assicurato che c’era un’assicurazione per le opere – lo avrebbero acceso correttamente? (nonostante avessi appiccicato le istruzioni per colui che l’avrebbe manovrato), l’avrebbero addirittura acceso o se lo sarebbero dimenticato? (visto che era l’unica videoproiezione di tutte le mille opere … ) e se si fulminava la luce?

Vabbè, ci penserò su, finito l’allestimento torno a Milano e ritorno sabato per l’opening ufficiale, facendo mille salti mortali per incastrare tutto con i tanti altri impegni.

 

Cosa devo dirvi? qualche opera interessante c’era, ma era tutto uno sopra l’altro, c’era di tutto e di più, non un minimo di ‘concetto curatoriale’ nè un criterio espositivo e selettivo … C’era solo questa idea sbandierata in lungo e in largo di arte per tutti, arte senza limiti, mostra come un imbuto dove metter di tutto e poi il pubblico sceglie … Molti artisti erano al settimo cielo di essere presenti e di essere esposti, per qualcuno era davvero gratificante, per altri molto meno, dipende da cosa cerchi, chi sei e cosa vuoi, no?

 

Io posso essere d’accordo in linea di massima sul concetto di far uscire l’arte dalle poche gallerie monopolizzanti, ma ho trovato questa mostra e tutta l’operazione un grande sfruttamento dell’arte e degli artisti fatta a scopi pubblicitari  e politici. Scusate la franchezza, ma mi sono davvero irritata, non c’era nè catalogo nè il nome degli artisti partecipanti, solo una grande eloquenza intorno al nome di Sgarbi e della sua ‘democratica’ operazione. E vedevo con rammarico stuole di artisti che si sono pagati la spedizione di opere enormi e pesanti da ogni parte di Italia, a loro spese, pur di partecipare e di dire: io c’ero alla Biennale di Sgarbi … A me sembra l’ennesimo modo di trarre profitto dal lavoro degli artisti e di ricevere gratis e senza troppo sforzo un grande ritorno sfruttando il lavoro degli altri. Boccaccia mia statte zitta, ma questo è ciò che penso e sapete che nel mio blog sono sempre sincera.

 

Rispetto al cento per cento gli artisti che credono in queste operazioni, quelli che sono stati contenti e che hanno avuto una opinione positiva e gratificante, rispetto il concetto di voler fare qualcosa fuori dalle logiche delle gallerie potenti e dai ‘soliti noti’, però lasciatemi dire che io  non trovo minimamente il senso di mostre come queste. C’erano così tante opere accumulate una sull’altra, e tante sale, e tanto freddo (non era stato acceso il riscaldamento durante l’opening e nemmeno durante l’allestimento!!) che non era possibile vedere tutti i lavori, e men che meno capire perchè erano lì.

 

Devo anche riconoscere che la mia partecipazione ‘critica’, col video della mia performance al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia che ironicamente si beffava di questa esposizione, non mi è sembrata potesse ricevere la necessaria attenzione, perché il contesto era del tutto inadatto alla fruizione di quel lavoro.

Così  HO DECISO DI TOGLIERE LA MIA OPERA dalla mostra, lasciare la mia parete vuota (portarmi a casa il proiettore!) e pubblicare il video su vimeo e su you tube … (chi me lo faceva fare di stare là in mezzo col mio lavoro e in più rischiare di perdere un prezioso videoproiettore per questo supermerkato dell’arte?).

 

ECCO, solo quando la mia amica Flavia di Torino, che è andata gentilmente a prendermi il mio lavoro e tutto il materiale, mi ha scritto “missione compiuta!”  MI SONO FINALMENTE SENTITA SOLLEVATA!!

E se volete vedere il video ritirato … eccolo qui, liberamente fruibile per tutti su vimeo e youtube

 

 

LIUBA, Senza Parole, performance e video, Biennale di Venezia 2011, videostills

 

 

 

 

The video comes from Liuba performance at the entrance of the Italian Pavillion at Venice Biennial 2011.

The Italian Pavillion 2011 was very controversial and discussed. The curator, active more in the Politics than in the Contemporary Art , asked to 100 of Italian ‘known’ people to invite one best loved artist to the Venice Biennial Italian Pavillion. The result was a show with no curatorial logic and full of any kind of works and styles.

Many of the Italian Art-World people criticized this Pavillion. Liuba expressed her disagreement in an ironic way, distributing flyers at the entrance of the show, as giving the explication of the exhibition. Except that the flyers were white, blank. Empty.

Interesting, as usual in Liuba’s works, are people reactions: many react automatically when receiving a flyer, many don’t want it, many other take it without reading, some were thinking Liuba was a Biennial Hostess and asked practical informations, and many people perceived and enjoyed the performance as well.

65. La Biennale di Sgarbi…

Sono stata invitata a partecipare alla mostra del Padiglione Italia –  Biennale di Venezia che si terrà alla Sala Nervi di Torino organizzata da Vittorio Sgarbi.

 

In un primo momento sono rimasta basita, poiché ho apertamente espresso cosa ne pensavo di quest’operazione attraverso una performance sottile e ironica ma molto critica, che feci proprio a Venezia all’ingresso del Padiglione Italia, intitolata Senza Parole.

 

Ma come, ho pensato, sono proprio matti, mi invitano a partecipare a questa mostra quando io non ho nemmeno esposto al Padiglione Italia di quella Biennale e addirittura li ho criticati facendo una performance a sorpresa! Non ci capisco proprio nulla!

Oppure hanno visto o saputo della mia performance, e proprio perchè gli è piaciuta mi hanno invitato? Allora, in questo caso, sarebbero piuttosto intelligenti!

 

Rimasi parecchio tempo indecisa, mi informai bene, e poi decisi di accettare l’invito, e di approfittare dell’occasione per esprimere le mie idee col mio lavoro, presentando PROPRIO il video di questa performance, che come una forsennata mi ero buttata a capofitto a montare per renderlo pronto ad hoc per questa mostra, prima di partire per Miami.

 

E così, ciò che vedrete in mostra, in prima assoluta, sono il video e le foto nate dalla performance alla Biennale dal titolo  ‘Senza Parole’.
Ho lavorato molto per preparare il video in tempo, ma non potevo partecipare altrimenti che con questa opera in tema e in relazione ‘dialettica’ all’evento.

 

 

 

 

 

Questo è il video integrale.

per vedere altre foto della performance clicca qui

60. Torino, Artissima, Pensieri notturni piovosi

Quando arrivo a Torino, sempre e da molti anni mi prende spesso quel senso di leggera tristezza, e noia, ed eleganza e grigiume, che sembra appiccicato alla città. Non me ne vogliano i Torinesi, ci sono degli angoli così romantici e poetici in questa città, e le proposte culturali, specie nel campo dell’Arte, le trovo le più interessanti d’Italia. Però ogni volta sento queste sensazioni di ‘quadratura’ e di malinconia, che mi catturano e mi danno il mood. Al tempo stesso qui mi sento spesso piuttosto rilassata, e pure silenziosa (it’s true..!).

 

Sono arrivata per vedere Artissima e tutte le mostre in giro. Come al solito sono nella principesca dimora di Flavia*, che vive in una tipica casa nobile torinese con soffitti altissimi, decorazioni, cortili meravigliosi. A Flavia piace che vengo a Torino per Artissima e sto da lei. E’ un piccolo appuntamento per vederci e aggiornarci di anno in anno. E a me piace stare da lei, vederla, incontrarla, e poi anche stare da sola in questa casa bella e un po’ vuota che lei generosamente mi lascia quando il sabato va in campagna nell’altra casa. E’ da due giorni che piove. Piove a dirotto ed è al tempo stesso buffo e triste. Chissà perché mi è venuta in mente quella poesia di D’Annunzio (come si intitolava? A sì, La pioggia nel pineto) dove la parola piove si ripeteva di continuo, quasi a ripercorrere ed imitare il ritmo incalzante della pioggia. E in questi due giorni è così, piove, piove a dirotto, piove sulle tamerici, piove sui pini, piove piove, piove sui viali rettilinei, sulle foglie già cadute, piove su Ermione,  piove sui nostri volti silvani, piove piove. Pioveva che Dio la mandava quando sono andata a vedere ‘The Others‘ alle carceri nuove. Mi aspettavo una mostra nelle carceri, invece era proprio un’altra mostra-fiera, con delle gallerie o associazioni che esponevano in ogni cella.

 

Inquietante il posto, tetro, deprimente. Grigio sporco e bianco noia. Le pareti trasudavano sofferenza. Entrare dentro le carceri e vedere arte dentro le celle era un’emozione forte, quasi surreale, forse l’operazione è troppo effimera, forse giusta, non so. So solo che, complice la pioggia, complice Torino, complice la pacatezza e il relax di una giornata autunnale dove mi sono sentita tutto il giorno introversa e silenziosa, ho girato con strane sensazioni dentro, e mi sentivo come una bolla in mezzo a tanta gente, e non avevo voglia di parlare con nessuno.

 

Ho visto dei bei lavori e a Torino vedo spesso qualità. Solo che quando ero nelle carceri, forse complice l’atmosfera e l’energia che emanava dai luoghi, non potevo, come a volte comunque da sempre mi accade, non domandarmi che senso ha fare arte, crederci, lottare, proseguire, come faccio da tanto, quando moltissimi altri fanno opere, molti fanno opere buone, moltissimi fanno di tutto, c’è un invasione di opere, e allora ma che senso ha farle tu ti dici … e mi viene un po’ di nausea, e poi mi dico che in realtà proprio per questo faccio sempre meno ‘opere’ ma mi interessa lavorare a progetti sui luoghi, sulle persone, usando il corpo e la vita. Poi mi va bene esporre il video, far vedere il video come opera, intanto perché è irreale, e poi perché comunque il video, seppur opera, parla di un’opera che non c’è più, la performance, il caso, la gente e l’accadere di quel momento. Questo pensavo andando in giro per le carceri, e poi per Torino centro stasera, alla ricerca delle gallerie e dei mille opening (ma a Torino mi disoriento sempre, è così squadrato che tutto mi sembra uguale, e non è mica come New York, dove le vie sono numerate per numeri, così sai sempre in che posizione sei e da che parte devi andare – certe volte adoro la semplicità pratica e geniale degli anglosassoni!).

 

Quindi, tanto per sfarfalluzzare in questa tarda notte mattina – sono tornata a casa dal mio giro in solitaria, Flavia è via e sono da sola nella casa silente dai soffitti alti, la pioggia continua a battere e a scrosciare, ed io non ho sonno, sono sveglia e sono ispirata, potrei andare avanti per ore, e forse questo scrivere mi sembra più importante che fare le opere … ma insomma, faccio arte col sangue e con la pancia da quando non ho potuto fare altrimenti, comincio ad essere a volte schifata (comincio??…), dell’iper produzione, del mondo dell’arte, del parlarsi addosso, del farsi la bocca larga che molti hanno solo perché devono esporre o curare o mostrare qualcosa, e quante opere, quante idee, quanti tentativi, quanti soldi, non so, non so più proprio, se l’arte è proprio una ‘missione’ come a volte mi sento dentro, o invece non sia forse solo e soltanto una perdita di tempo … Però l’altro giorno al Lumierè ho visto La frase che penso da tanto e mi sono segnata: “La cultura non è un lusso, è una necessità”.

 

Con questo dubbio amletico forse è giusto che me ne vada a dormire, domani vedrò Artissima (manco ne ho voglia di andare nel caos, ma un filo curiosa lo sono – è che queste fiere mi cominciano a stufare) e sarebbe il caso che non arrivi lì alle tre del pomeriggio.

 

 

*AGGIO0RNAMENTO:

Flavia purtroppo non è più con noi, e dedico a lei non solo questo post ma tutte le visite a Torino che ho fatto successivamente. Lei è stata presente anche in molte mie performances, incluso quella degli abbracci fatta nel 2010 (Untitled), di cui è rimasta una foto meravigliosa scattata dall’amico Ivo Martin, in cui, pur essendo l’abbraccio parte della performance, è racchiuso tutto l’affetto che ci legava e che ora onoro.