25. La mappa dell’arte newyorkese

E’ sempre incredibile per me vedere quanto New York cambi vorticosamente ogni volta che ci torno. Tutto si trasforma rapidamente. Prendiamo per esempio la scena artistica newyorkese.

Quando sono arrivata, a dicembre, sono andata subito per un paio di settimane alle inaugurazioni di giovedì a Chelsea nella zona delle gallerie, emozionata – e pure ve l’avevo scritto – di ritornare nel quartiere dove ero di casa e dove avevo avuto la galleria e preparato la personale nel 2006.

Ma già dalla prima volta rimasi delusa. Sarà perchè è sotto Natale – pensai – e le gallerie tendono a mostrare quanto di più commerciale hanno pur di vendere, o sarà a causa della crisi, che qui si sente eccome, che fanno proposte commerciali pur di vendere, però … pensavo, che noia!

E non ci misi molto ad accorgermi che la verve e la vitalità che c’era in tutta la zona alcuni anni prima era scomparsa. Le gallerie sono sempre tantissime, interi edifici con gallerie ad ogni piano, ma la maggior parte delle proposte sono trite e ritrite, commerciali, spesso cose tipo ‘esercizi’ che ciascuno di noi ha fatto nel suo percorso negli anni degli studi: quadri astratti con belle forme e colori, sculturine col riciclato, foto di fiori ingranditi … (belle foto e bei fiori, naturalmente, e pure molto grandi e molto costose … ). L’unico aggettivo è “boring”.

 

Naturalmente a Chelsea rimangono ancora i mostri sacri, quelle mega gallerie che sembrano musei con loft di 20.000 metri quadri e che controllano il mercato dell’arte di mezzo mondo (o di tutto il mondo). Non faccio nomi qui per non fare … pubblicità, ma chi ha un po’ di dimestichezza col mondo dell’arte sa di cosa sto parlando.

 

Però poi si comincia a notare che parecchie gallerie importanti-emergenti si sono già trasferite da Chelsea, o hanno aperto un’ulteriore sede, andando nel Lower East Side.

Già sapevo che quest’area stava crescendo vorticosamente, e questo in seguito anche all’apertura della nuova sede del New Museum sulla Bovery pochi anni fa, e da allora su questa scia molte nuove gallerie hanno deciso di aprire in questa zona, e molte vi si sono trasferite.
Basta andare in giro per le gallerie del LES per vedere finalmente delle mostre interessanti, lavori freschi, idee nuove, gallerie che esperimentano, e molto movimento. Come dicevo ci sono gallerie già conosciute, che hanno aperto qui la loro sede, e molte altre fresche di apertura da pochi mesi, già con le idee chiare e proposte valide.

 

Questo per parlare di Manhattan. Ma dove stanno gli artisti ora è principalmente a Brooklyn. Questo perché Manhattan sempre più diventa un luogo carissimo dove gli affitti sono impossibili e dove il costo della vita se lo possono permettere solo quei professionisti che lavorano 12 ore al giorno nel mondo della finanza, della pubblicità, della TV, moda, legge, politica e via dicendo. Ma a detta di tutti Manhattan sta diventando un contenitore vuoto, dove si arriva solo per il lavoro e poi se ne esce.

 

Naturale quindi che da tanto gli artisti si siano spostati a Brooklyn. Già quando ero qui nel 2005 e 2006 si parlava di Williamsburg e delle tante gallerie e locali aperti in quella zona, la più vicina a Manhattan, appena dopo il ponte (non quello di Brooklyn, ma il Williamsburg Bridge appunto). Ma già ora lì è quasi tutto finito ed è diventato un divertimentificio un po’ commerciale e non molto interessante, almeno a mio parere ( e non solo). Ho girato per qualche inaugurazione qualche tempo fa, ma dopo alcune gallerie con mostre inguardabili e stesi dal freddo boia per camminare dall’una all’altra (che non è mica come a Chelsea o anche al LES dove sono tutte vicine … ) ce l’abbiamo ‘data su’, come si dice a Bologna e non sono più tornata. Invece la situazione più emergente di tutte si è spostata più all’interno di Brooklyn in altre zone, zone tra l’altro dove puoi trovare da affittare una stanza per 500 dollari o un appartamento per 800, come è capitato rispettivamente a due miei amici.

 

Una di queste zone artistiche emergenti, si chiama Bushwick, e rimane dopo Williamsburg. Ed è lì che stanno sorgendo tanti artisti e tanti spazi interessanti e sinergie. E guarda caso – o forse non è un caso – anche a me sono capitate nel frattempo tutte cose connesse con Brooklyn, come la mostra qualche tempo fa (e ancora in corso) in un locale situato tra Williamsburg e Bushwick, appunto, e soprattutto la mia prossima partecipazione al SITE FEST, che è disseminato, nel week-end tra il 5 e il 6 di marzo, in diversi spazi di Bushwick, ed è un evento ufficiale della settimana dell’Armory Show in NY. E’ il festival più importante di performance e arte performativa di tutta la città, e il più emergente. Sono stata molto felice di essere stata selezionata a parteciparvi con una nuova performance e con la presentazione live dei miei video! Poi vi farò sapere e vedere, e chi di voi mi leggesse ed è a New York … sia il benvenuto!

16. Capodanno, post capodanno, litigi vari e bed bugs

 

Il 31 mi sono divertita tantissimo, siamo andati a due belle feste, abbiamo bevuto tutta sera champagne, e ballato tantissimo a un party di due artisti gay scozzesi nell’East Village, dove mi avevano invitato le sempre informatissime Amanda e Doreen.

 

Ma i problemi cominciano subito dal risveglio dell’1 mattina. Quando Mario è nervoso diventa intrattabile e invece di tenerezze o romanticismi comincia a imprecare per il caldo (sì a New York gli appartamenti sono stracaldi, ( Per fortuna! Dico io … ).
Poiché in Canada mi ero beccata una specie di influenza che ho miracolosamente tamponato per affrontare il Capodanno, non potevo prendere freddo, mentre Mario anche in inverno starebbe con la finestra spalancata tutto il tempo, ma io ero raffreddata. Così si innervosisce (fa tutto da solo) scatta ed esce, io gli dico che avevamo preso l’ananas e altre cose per fare una bella colazione romantica insieme il primo dell’anno e lui si arrabbia dicendo che lo forzo, prende ed esce, ed è già la solita bufera.

 

Fortunatamente il pomeriggio avevamo una festa di capodanno diurna dalla famiglia che mi ha ospitato a Brooklyn quando sono arrivata, così non dovevamo stare soli, perché c’era aria di tempesta. La festa era carinissima, io sto benissimo, lui pure, poi arriviamo a casa e decidiamo di andare al cinema, andando però in giro nella zona Times Square. Litighiamo per una stupidata della strada da fare e di dov’è il cinema, ma quello che non tollero è che lui scatta imprecando ed avendo crisi di nervi, che io trovo totalmente fuori luogo e che mi spaventano. Comunque, non voglio tediarvi, ma il 2 la tensione aumenta per cretinate, andiamo a Coney Island e quando torniamo usciamo dalla metro a Chinatown. E’ sempre difficile orientarsi quando si esce da una metro a New York, perché tutto può essere sud ovest est o nord. Di solito se non mi oriento io chiedo, perché odio andare dalla parte opposta, ma Mario mi dice che secondo lui è di là. Ok, dico. Poi mi chiede conferma di cosa penso. Dico che non so orientarmi, se vuole chiedo a qualcuno. No, dice, è di là. Ok, dico, e continuo ad ascoltare la musica con l’ipod, anche per fargli prendere l’iniziativa, dato che il litigio dell’1 per il cinema era che lui si è arrabbiato che ho chiesto ad altri … così lo seguo, ma lo vedo nervosissimo, arriviamo ad Hallen Street, e mi chiede se la strada mi dice qualcosa, sì dico, ma non so dove siamo perché ti stavo seguendo, e lui comincia a diventare paonazzo, esplode in ira e in scintille trattandomi malissimo dicendo che non collaboro, ecc … io non so più che fare e che pensare, lui fa un crescendo di ira, prende e fugge, va a casa e fa la valigia, torno a Montreal dice, è meglio per tutti e due. Ok gli dico, vai se vuoi, questa volta non sconvolgendomi e non piangendo, perché era davvero assurdo il suo comportamento.
Vado al cafè internet davanti a casa ( da Nora non c’è internet) e mi chiudo in me stessa. Lui gira per New York con la valigia poi alla sera decide di rimanere. Facciamo pace, ne parliamo tutta notte, parliamo come sempre di ciò che fa scattare lui o che fa scattare me, la mattina mi regala dei fiori, io mi commuovo.
Il giorno dopo dovevamo traslocare per la nuova casa, io ero eccitatissima, lui non si sa quanto sarebbe stato a New York, ma gennaio se l’era preso libero per affittarla insieme. Trasportiamo tutto col taxi, arriviamo là è piccolissima microscopica e vecchissima, ma in Mc Dougall street nel West Village, proprio il quartiere dove Kevin mi accoglieva quando venivo a New York alcuni anni fa, e che considero un po’ ‘la mia zona’.
Io contenta, Mario contento, mi dice meno male che sono rimasto. Andiamo a cena a festeggiare.

 

La mattina dopo lui si alza con dei pizzichi e diventa nervosissimo. A New York c’è l’allarme, da tanto, di un’epidemia di bed-bugs, che sono animali che si ficcano nei materassi e si possono sparpagliare ovunque,  e Mario è convinto che la casa ne sia infestata, e mi stressa dicendomi che dobbiamo andare via, che bisogna risolvere il problema … ecc … io non sono stata pizzicata e ho dormito benissimo, dico aspetta, non drammatizzare, ma lui vuole litigare dicendo che non lo aiuto a risolvere i problemi (cosa???? Allora perché non trova lui l’alternativa?)  poiché i pizzichi sono aumentati, e sono molti, la notte seguente decide di dormire per terra, allora cominciamo ad avvisare chi possiamo del problema, ma la proprietaria è in Italia e non risponde alle e-mail, nella casa non funziona la connessione internet per cui niente skype, ecc.
Io ( e perché sempre io?? Lui mi stressa, dice che non mi occupo di lui, mi tratta male, esplode in ira, ma non fa niente di niente) chiamo l’amica della nostra affittuaria che ci ha dato le chiavi, e l’amministratore del palazzo, che dice che bisogna chiamare l’exterminator e lavare tutti i vestiti in casa, ecc, ecc. che si attiverà, ecc. ecc. Mario impazzisce, è come se dà la colpa a me, e tutto diventa incubo, la casa vecchia e sporca, Mario fuori di testa coi pizzichi dei bad-bugs, io terrorizzata dai suoi furori … Mario dorme un’altra notte sul pavimento. La mattina appena alzata vado in pigiama nel cucinino (l’unica altra parte della casa, dove lui ha dormito) e Mario mi apostrofa trattandomi male dicendo che col mio pigiama gli porto l’infezione. Io deliro ma mi tolgo subito il pigiama – perché ho paura davvero quando si arrabbia – lo metto sulla scala del soppalco, rimango nuda e vado a fare la doccia, e lui sento che esplode come una jena che il pigiama era sulla scala del soppalco e non sopra il letto, esplode in improperi fa la valigia e grida per l’ennesima volta che se ne va, e prende ed esce con tutte le sue cose. Io rimango frastornata e piangente, arrabbiata, delusa che non funziona mai niente, e piango nella casa coi bed-bugs.
Dopo qualche ora mi telefona che è alla stazione delle corriere per prendere il bus per Montreal, io sto malissimo sento che la storia è davvero finita e forse è pure un sollievo, però mi arrabbio anche perchè come al solito lui prende e scappa, lasciando me a risolvere tutti i problemi,  prende e va, come ha fatto tante altre volte … Ha preso il bus per Montreal ed io sono rimasta a New York, sono stata accolta da Janet, che pazientemente ha ascoltato i miei pianti e il bisogno di sfogarmi, e ho dormito da lei. Anche se ferita e delusa, sono triste che questo amore non porta frutti, che ci amiamo ma ci facciamo del male, e in fondo al cuore so che forse devo ringraziare Mario che sta fuggendo, perché mi dà tregua da questo rapporto che non funziona più.

 

Mi sono svegliata stamattina senza aver dormito quasi niente, e sono andata alla funzione in una chiesa chiamata Marble Church (non so bene a quale delle mille confessioni cristiane che ci sono qui appartiene) dove c’è una celebrazione strana che sembra un concerto e uno show, e dove ci sono persone simpaticissime, che avevo scoperto per caso i primi giorni a New York. Sapevo che dovevo farmi coccolare da Dio e da Lui trovare una risposta. Piansi tantissimo, ma anche tramite le parole dolcissime di Dale, (una giovane donna di Harlem, conosciuta l’altra volta e con cui ero rimasta in contatto, ed è stata la prima persona che ho trovato – non a caso – nella folla festeggiante del dopo funzione (lì fanno sempre incontri pranzi e feste e la chiesa è un edificio con 10 piani dove c’è di tutto) e le parole poste da Dio dentro il mio cuore, ho capito che forse è meglio così, perché tutto ciò è successo per non perdere tempo distruggendosi, ma perché devo ricominciare  a focalizzarmi su di me, come avevo fatto faticosamente nell’ultimo periodo in Italia, e portare avanti gli obiettivi, andare avanti nell’arte e poter dare sempre di più questi doni, e cominciare finalmente a vivere questa città con lo stupore negli occhi e cominciare a reagire, ringraziare di tutte le persone, e sono molte e sono ovunque, che mi sono vicino e che mi amano e che desiderano fare delle cose con me (e ho avuto sentori e segnali).

 

Il pomeriggio sono andata di nuovo nella casa dei “bed-bugs”, doveva arrivare lo sterminatore, mi sono rimboccata le maniche e ho dovuto liberarla da tutte le cose che c’erano, era sporchissima e c’erano un sacco di cose della padrona di casa sparse ovunque che andavano imballate nei sacchetti, ecc, ecc.
Ora vi scrivo da un internet cafe, stasera ancora dovrò dormire fuori, domani risolvere dove mettere le cose, rigirare la casa come un calzino, portare tutto in lavanderia, ecc … ma questa è New York, dove tutto succede, dove tutto succede velocemente, e dove tutto è imprevedibile. Non sono arrabbiata con Mario, lo amo ancora, e amo le sue ferite, così come amo le mie ferite, provo compassione per il suo dolore, così come provo compassione per il mio dolore, ma io venendo qui ho messo tutta la buona volontà e tutto l’impegno possibile per mettere insieme una convivenza con lui, e solo a New York sapevo che la sofferenza non ha tempo per rimanere, che bisogna voltare pagina, e cercare di gioire di questa città e trarre i frutti che è pronta a darci.

 

Mario mi ha chiamata nel pomeriggio, mentre io stavo combattendo da sola contro i bed-bugs, dicendomi che era tristissimo e soffriva, così come anch’io gli ho detto che ero tristissima e soffrivo, ma stava arrivando lo sterminatore e bisognava che preparassi le robe di quella casa nei sacchi, non avevo più tempo per soffrire delle nostre ferite e della nostra storia che non funziona, lui era scappato, ma io ero qui da sola a New York a dover combattere la battaglia. Non so cosa succederà, so però che bisogna andare avanti, e io voglio combattere la battaglia, e vivere e gioire, e seguire le vie che ci sono preparate.