168. Alla Biennale. Performance virtuale

Sono andata all’Opening della Biennale anche quest’anno. Ma senza fare una performance. A dire il vero avevo proprio un’idea pronta che avevo anche accarezzato di realizzare, idea che ho da molti anni e che, con un sesto senso, mi era venuta fuori da riprendere per questa edizione. Poi poichè ero già abbastanza carica di progetti in corso (una personale inaugurata il mese precedente, un nuovo progetto in dirittura di arrivo e i video dei rifugiati che girano in mostre) ho visto che avrei avuto poco tempo e poca energia per organizzare questa performance, che di per sè è molto semplice, ma come sempre da organizzare lo è un po’ meno.

 

 

Sono andata all’Opening della Biennale anche quest’anno. Ma senza fare una performance. A dire il vero avevo proprio un’idea pronta che avevo anche accarezzato di realizzare, idea che ho da molti anni e che, con un sesto senso, mi era venuta fuori da riprendere per questa edizione. Poi poichè ero già abbastanza carica di progetti in corso (una personale inaugurata il mese precedente, un nuovo progetto in dirittua di arrivo e i video dei rifugiati che girano) ho visto che avrei avuto poco tempo e poca energia per organizzare questa performance, che di per sè è molto semplice, ma come sempre da organizzare lo è un po’ meno.

 

 

 

Mladen Stilinovic, Artist at Work, 1978/2017

 

 

 

L’idea era quella di andare all’opening con una valigetta, dentro a cui avrei messo un materasso pieghevole. Sono vestita con un vestito bianco tipo camicia da notte, largo e lungo, ma che potrebbe essere scambiato per un vestitone estivo. A un certo punto, nel bel mezzo dell’opening e con le persone che camminano da un’opera all’altra e da un padiglione all’altro, io appoggio la valigetta, tiro fuori il materasso e il piccolo cuscino, e mi stendo a dormire, con ai miei piedi una scritta che dice ‘A volte sono stanca’.

 

Questa è la mia performance virtuale, ossia pronta nel pensiero e non ancora realizzata. Figuratevi il mio stupore quando ai Giardini, all’inizio della mostra curatoriale, vedo ben tre opere di tre artisti che lavorano su questo tema: in tutti e tre i lavori c’è l’artista sdraiato sul letto o sul divano che si riposa. Pensate che coincidenza madornale, se io arrivavo lì, ovviamente ignara delle opere che sarebbero state esposte, e mi mettevo a dormire, reale e fisica e performativa, proprio accanto alle opere fotografiche o installative degli artisti che riposavano sui rispettivi letti o divani. Che roba! Quando ho visto questi lavori non potevo credere ai miei occhi, e constatare come le energie girano e si captano sottilmente.

 

Non saprei dire se avessi fatto questa performance come sarebbe stata la reazione delle persone, non tanto alla performance stessa – che avrebbe funzionato benissimo, già lo so 🙂 – quanto per il parallelo con le opere in mostra che aprono, anche esplicitandone gli intenti, la mostra curatoriale della Macel. Avrebbero pensato che io ne ero al corrente e che mi sono allineata al discorso? oppure avrebbero pensato ma che ci fa questa qui con una performance simile a quei lavori esposti? oppure avrebbero pensato che era una performance facente parte della mostra, oppure avrebbero pensato ma che figata, da una parte abbiamo le foto degli artisti che dormono, mentre qui invece, in piena folla dei visitatori dell’opening della biennale, c’è un’artista che davvero sceglie di dormire e di farci capire cosa è più importante… Insomma, le reazioni potevano scalare dalle stelle alle stalle, dal fiasco alla magia. Che poi ebbene sì una magia era bella e buona, perchè questa idea l’avevo quasi da una decina di anni e guarda caso alcune settimane prima della biennale mi riapparve chiara in mente, e necessaria da fare. Solo però che volevo DAVVERO riposarmi, e quindi non ho fatto la performance…

 

Ma ve lo sto scrivendo perchè questa per me è una performance virtuale, bell’ e che fatta. E il condividerla qui ne sancisce la sua esistenza nell’etere e nell’immaginazione. Forse un giorno la farò davvero, o forse bastano le righe che vi ho scritto qui sopra, ma la performance per me è comunque realizzata, nella sua forma virtuale per ora, che ho condiviso con voi per la sua coincidenza inaspettata e inusuale.

 

 

Franz West on Divan, 1996

 

Yelena Vorobyeva and Victor Vorobyev, The Artist is Asleep, 1996

 

Ora passo ad alcune righe sulla biennale. veloci, sintetiche, smilze. Ne ho parlato tanto con le persone, in quei giorni, e ne ho letto molto in tutte le sedi, quando sono usciti tutti gli articoli e i commenti, per cui ora (visto che mi sono ‘riposata’ ed è già passata più di una settimana dalla fine dei giorni di opening) non necessita che io mi dilunghi in commenti.

La sezione curatoriale della Macel ha avuto per me ondate contrapposte, fra lavori e sezioni che mi sono piaciute ed altri lavori e sezioni che non mi sono piaciute affatto. Devo dire che, sebbene apprezzi l’ intento della curatrice di dare la parola agli artisti e di non prevaricare con una tematica forte curatoriale, dall’altra la suddivisione per tematiche e sotto-padiglioni l’ho trovata didattica e noiosa. Mi è piaciuta la ripresa di artisti non sempre adeguatamente riconosciuti, come Maria Lai di cui era presente un ampio corpus di lavori bellissimi.

 

Riguardo ai Padiglioni avevo molto apprezzato, prima che si sapesse fosse il vincitore, il padiglione della Germania di Anne Imhof, peraltro avendolo visitato in un momento in cui non c’era l’azione performativa. Mi era piaciuta la poesia e la pulizia di questa installazione di vetri un po’ opachi dove le persone galleggiavano, la prospettiva di questa piattaforma vista dall’esterno del Padiglione e la visione alla quale questa piattaforma dava accesso permettendo di vedere due installazioni sottostanti che davano sensazioni inquietanti ed enigmatiche. Allora non sapevo che il tutto era contemplato con e per la performance, ma il padiglione mi piacque tantissimo. A posteriori, sul web, vidi dei pezzi di video della performance, e devo dire che è la cosa che mi convince di meno (ma avrei dovuto vederla), mentre l’installazione è grandiosa.

Altri padiglioni che ho amato: la Svizzera, col bellissimo e poetico video a due facce Flora di Alexander Birchler e Teresa Hubbard, la Georgia con la fantastica isba vera dentro alla quale piove continuamente di Vajiko Chachkhiani intitolata Living dog among dead lions, il video panoramico di Lisa Reihana per la Nuova Zelanda, qualcosa dei corpi e delle bocche di  Jesse Jones al Padiglione irlandese. Bocciati big come l’Inghilterra, gli Stati Uniti (a parte per l’intervento sulla volta centrale), la Spagna e la Francia.

 

Che devo dire dell’Italia? Si, meglio del solito ( e ci voleva poco…) ma non mi ha del tutto convinto, a cominciare dal titolo… Il mondo magico: ma di cosa? Di magia ne ho vista poca. Casomai inquietudine funerea nell’opera di Cuoghi, e poesia nell’intervento speculare di Andreotta Calo’, il pezzo migliore del Padiglione, a mio avviso.

 

Grandiose, specie nella fase del montaggio, le grandi mani di Lorenzo Quinn sul Canal Grande, ancora migliori in fase di installazione, più misteriose e magiche che non quando posizionate sulla parete a destinazione finale, in cui il loro senso era fin troppo ovvio.