95. Fughino in Germania per dOCUMENTA 13

 

Incollata a Milano per gravi problemi di salute di mio padre da più di un paio di mesi, ansia, tensione, caldo, fatica, corri di qui e di là, parcheggia e sparcheggia, frustrazione di avere tanti progetti in testa e non ho tempo per farli, l’aria che non mi fa respirare, la cappa che mi fa soffocare, sono uscita qualche stirato weekend ma nulla più, ma ecco che alcuni amici mi propongono un viaggio a Kassel per vedere Documenta, un viaggio breve con molti kilometri, forse un po’ stancante, visto la già stanca situazione in cui mi trovavo, ma naturalmente la curiosità, la voglia di staccare e la passione per i viaggi e la compagnia hanno preso il sopravvento: giusto la sera prima della partenza ho deciso di andare et voilà alle 5 di mattina siamo partiti in 5 da Milano! A parte Filippo, l’artista curatore di “Corpi Scomodi” (conosciuto da poco a Cantù, anche se eravamo in contatto via e-mail da un po’), non conoscevo nessun altro, ma avevo molta voglia di rimettermi in gioco e di ritornare ai tempi in cui si prendeva e si partiva in compagnia.

 

Lungo viaggio, macchina comodissima, compagnia piacevole e divertente, alcune pause strategiche sul cammino, visitando luoghi molto belli, arriviamo a Kassel a notte tarda, complice anche avventure e disavventure in autostrada … (vi devo raccontare che a un certo punto siamo stati trainati con una corda da un tipo portoghese con furgone-casa, poiché eravamo in panne??) …

 

Documenta, sì che dire, bella, interessante, capillare, curata molto bene, brava Carolyn! Molta terra, molto corpo, molti progetti, processi, molta socialità, molta solidarietà, molti progetti di benessere, politici, di ricostruzione, di ecologia, di rapporto. L’arte sparsa e diffusa in tutta la città, come è solito essere in Kassel, documenta accade ogni 5 anni ma è davvero l’evento internazionale più ampio e di più solidi contenuti.

 

Tanto è stato scritto su questa mostra. Però vorrei fare una considerazione, qui ora, a tarda notte (rientrata a Milano già stento a dormire seppure molto stanca, bah): ho visto delle scelte, curatoriali e artistiche, che vanno nella direzione del processo più che dell’opera, del fare e costruire realtà più che confezionare lavori.
È una tendenza in cui mi riconosco, una direzione che anch’io cammino, e un desiderio, dell’arte e anche della società, di creare domande, creare benessere, creare vita. Non opere, ma vita. Mi ha molto colpito anche la rosa molto varia di artisti (e non artisti) invitati, che spaziavano da persone attive 50 anni fa ad alcune giovanissime, da nomi non conosciutissimi di artisti magari già scomparsi ma con un lavoro sorprendentemente attuale e comunicante, a reinterpretazioni di artisti già storici (come Morandi, esposto coi suoi quadri ma anche con le sue bottiglie reali, che diventavano una sorta di installazione più vera dei quadri … ) a progetti di artisti che non sono artisti (curatori, filosofi, ecc … ).

 

Ho goduto, a girare come una trottola, ma con molta calma e godendomi tutto, la miriade di opere e la miriade di luoghi, specialmente quelli sparsi nel grande parco, una sorta di caccia al tesoro per trovare le opere, installate dappertutto (nelle serre, nella casa del giardiniere, sul fiume, tra gli alberi …

 

Sono stati solo due giorni di Kassel, e due giorni di viaggio, non molto in verità, ma già sufficienti per farti ritrovare la bellezza del vivere e la bellezza di stare in compagnia. E sentire il sapore di libertà. E sentire il sottile fascino di essere mischiati nel mondo, e sentire il sapore dell’internazionalità, il sapore di altri mondi e di altre strutture (poi ogni volta che si va in Germania ci si sente stupiti e meravigliati ed estasiati da cotanta organizzazione e funzionalità (!) che un po’ ci fa pure invidia … ).

 

il testo della curatrice  Carolyn Christov-Bakargiev sul muro d’ingresso del Museum Fridericianum 

 

«Quello che i partecipanti fanno e quel che esibiscono a dOCUMENTA potrebbe anche non essere arte, il confine tra ciò che è arte e ciò che non lo è è diventato meno importante» ha spiegato Christov-Bakargiev. La mostra «si occupa di momenti di trauma e di svolta, di incidenti, catastrofi, crisi» e il tema della distruzione e della ricostruzione è comune a molte opere. «dOCUMENTA a Kassel è volutamente scomodo, incompleto, carente. Penso che la confusione sia davvero meravigliosa».

 

se volete leggere alcuni articoli:

43. Brema, l’ospitalià e la performance

Sono arrivata a Brema da Amburgo giovedì sera. Anette, l’organizzatrice del Performance Festival, mi è venuta a prendere alla stazione e mi ha portato a casa sua, dove mi ha sistemato in un appartamento sotto il suo, completamente a mia disposizione, con bagno, cucina, giardino, e un sacco di delicati e dolci accorgimenti di benvenuto: la piantina di Brema con segnato il luogo della loro casa, una rosa del loro giardino sul comodino, frutta, succhi, pane formaggi tipici nel frigo.
Mi sono sentita commossa e riconoscente, e dolcemente viziata e cullata, e nelle migliori condizioni per rilassarmi e prepararmi pscicofisicamente alla performance di domenica.Quando ho preparato tutto per una performance, quando l’idea concettuale è pronta, i materiali scelti decisi e installati, la parte organizzativa più o meno finita, ecco che comincio l’ultima fase della preparazione: quella dell’energia e della concentrazione.Non provo mai le mie performance prima dell’evento, poiché per me la performance è un’azione unica che esalta il momento, ma mi preparo sempre intensamente con la concentrazione e la meditazione, in modo da trovare la parte più profonda delle mie energie e dare il meglio delle mie possibilità.E’ la ricerca del centro, e l’essere profondamente centrati o no è quello che fa la differenza tra una ottima performance o una solo buona (questo vale anche per un musicista, un attore, un trapezista … ). Adoro attingere a quei livelli di profondità, e godo moltissimo quando faccio le performance perché entro in una dimensione di centratura e concentrazione, di potere e di energia, che non è facile ottenere nella vita quotidiana, ma che è preziosa più che mai e infinitamente bella. E’ come un tuffo al centro della vita, ed io anche spero che questo tuffo sia percepito dagli altri, e che lo possano assorbire  le persone che ‘incontrano’ le mie performance.

 

L’energia e la pace che ho respirato in quella casa, le persone interessanti che ho conosciuto, hanno contribuito a creare la concentrazione e la forza necessaria per dare il meglio di me nella performance. E spero che questo sia riuscito!

Mi sono divertita molto a fare la performance Jericho in Bremen, che è cominciata col mio arrivo alla stazione dei treni della città, ed è proseguita per le vie del centro cittadino, fino ad arrivare nel luogo dove c’era la grande mostra e visitarla, sempre performanco con gli occhiali che non fanno vedere, ma camminando come se vedessi…

Ecco alcune foto della performance!

 

 

LIUBA, Jericho in Bremen, performance interattiva per la città, Brema 2011
photos: Gisela Winter

 

All’interno dell’esposizione del Padiglione Fieristico c’era anche una bella mostra di videoarte, allestita con televisori di varie epoche e di vari formati, fra i cui video esposti c’era anche il mio Cieco di Gerico della Biennale di Venezia del 2003, che era correlato alla performance che presentavo a Brema. In queste foto di sotto ci sono io che durante la performance gioco a ‘vedere’ e ‘non vedere’ il mio video dove non vedo anche se sembra che ci veda…

 

 

 

photos: Mario Duchesneau