78. The Indipendent, Fountain Art e altro ancora

Dopo l’Opening dell’Armory Show e quello di Volta NY, di cui vi ho parlato nel post precedente, il venerdì sono stata all’Opening di Fountain Art Fair. Sono uscita molto tardi di casa perché sono stata tutto il giorno coi sentimenti sul ricordo dello zio Elio e sul contatto con la mia famiglia in Italia, e non ho visto nessuna delle altre fiere che mi ero ripromessa per oggi. Però l’Opening di Fountain era dalle 19 in poi, così, anche per distrarmi, sono uscita. Inoltre avevo parecchie aspettative riguardo alle performances, poiché sapevo che c’era una speciale sezione di performances, che avrebbero avuto luogo in serata.

 

L’edificio in cui era ospitata la fiera era impressionante e inquietante al tempo stesso: si trattava di un Armory, una specie di caserma immensa, che ha un grandissimo spazio centrale a volta dove, mi hanno detto, nell’ ‘800 venivano conservate le armi e il materiale bellico … (viste le dimensioni, si trattava anche di cannoni e quant’altro … ).
Il risultato era un po’ paradossale perché, appena entrati alla Fiera, ci si metteva le mani nei capelli al vedere lo scarruffio delle opere e la insulsa vacuità di quasi tutto ciò che era esposto. (Non ho mai visto una fiera più arraffata e come un supermarket di art and crafts di bassa qualità, commerciale al massimo e, come si dice a Milano, come “la fiera degli obei obei”!)  Poi guardavi in alto e vedevi questa struttura in ferro dell”800, immensa, bella ma inquietante sapendo l’uso a cui era destinata, e guardando in basso vedevi il mercandizing più frivolo di ogni possibile prodotto umano immaginabile (prendi qualsiasi materiale, fai un minimo di assemblaggio, ed esponi). Un accostamento stridente, in un certo verso anche piuttosto ‘underground’.

 

Non voglio togliere nulla ai pochi lavori magari interessanti che c’erano (difficili da cogliere perché disgustati dall’insieme, il tempo massimo da dedicare alla visita era di 10 minuti).
Ciò che però mi incuriosiva, è l’anima di una certa America, che qui era rappresentata in pieno: la leggerezza, il commercio, la vendita, lo stupore per qualsiasi cosa, il kitsch, l’entusiasmo dirompente solo per il fatto di esserci …
Mi sono un po’ stupita, perché mi aspettavo da questa fiera, che doveva riunire la maggioranza delle gallerie di Brooklyn (Williamsburg, Buswich, Greenpoint .. .i quartieri dove oggi a New York ci sono le gallerie giovani e sperimentali e quella più ‘cool’) un insieme di proposte innovative, anche non convenzionali ma ‘fresche’. No, invece molte ma molte ‘croste’ (sempre senza nulla togliere all’entusiasmo di chi esponeva, che era contento così, e senza nulla togliere a qualche opera manuale di buona fattura), la maggior parte super ‘naive’. Evidentemente, le migliori gallerie di Brooklyn non hanno esposto qui.

 

La sezione delle performance non era male però. Ossia, ne ho viste due, una era una schifezza, mentre l’altra molto bella, interessante, ben fatta. Si trattava di una cena sentimentale a due con una parete divisoria in mezzo, intitolata “The wall between us” di Caridad Sola e Thomas Solomon. Il tutto montato in maniera estetica e professionale, e con una discreta dose di concetto godibile da percepire. Detto così so che non vi dice niente, ma non ho fatto foto. Ho girato tutti questi giorni delle mostre senza la macchina fotografica: un po’ perché volevo vedere coi miei occhi e pensare – mentre quando si fotografa si vede con un occhio solo e si pensa all’immagine – e anche perché sto cercando faticosamente di comprarmi una nuova macchina fotografica … ).

 

Dentro alla mostra mi sono vista col mio amico Regi (ci siamo conosciuti l’anno scorso mentre lui faceva le foto quando presentavo i miei video a Bushwich), e dopo la performance siamo andati a raggiungere la mia amica Marie in un altro opening (non vi dico dov’era perché si è rivelata una cosa rocambolescamente dilettantesca … però le persone lì mi sono simpatiche), e, sotto mio stimolo, quando siamo usciti, siamo andati a mangiarci qualcosa insieme. Ho detto ‘sotto il mio stimolo’ perché per noi italiani è ovvio mangiare insieme, e cosa di grande socialità, ma in molte altre parti del mondo non si avverte questa cosa, e qui è strano perché tutti mangiano fuori – a ogni ora e a ogni dove ci sono miriadi di posti dove mangiare di tutto, la maggioranza li prende ‘take away’ e te li mettono in delle scatole di plastica per portare il pasto a casa – però non c’è molto l’abitudine di cucinare insieme o mangiare insieme (se non per un ‘dating’ ossia un corteggiamento o evento romantico).

 

Ah, poi vi volevo parlare della fiera The Indipendent, che ho visto il giorno successivo. Finalmente! Ossia: finalmente una bella Fiera, finalmente lavori interessanti e qualche progetto di ricerca, e qualche contenuto, e opere con materiali più innovativi o con idee originali ed emozionanti. Già mi avevano parlato molto bene di questa fiera, e l’ho confermato coi miei occhi. La mia amica curatrice Oxana, che ho incontrato in giro per gli Opening (lei era, come molti, venuta apposta dall’Italia per la New York Art Week), quando ci siamo incontrate a Fountain Fair, tutte e due inebetite per la incredibile pessima qualità degli stand, mi ha detto che al confronto The Indipendent era come Art Basel … !

 

Anche la location in Chelsea nell’ex Dia Center era azzeccata. Era insomma una bella fiera, però me la sono girata in maniera leggermente malinconica e non me la sono goduta molto. Ero ancora triste della perdita dello zio e soprattutto mi sentivo nostalgica, sentivo la mancanza dei miei affetti forti, della mia famiglia, di Mario, la grande città a volte ti fa sentire come una formichina … Poi però una telefonata di mezzora con Mario (che la settimana prossima viene a New York) mi ha ritirato su il morale e il magone è passato, ho incontrato Eric e insieme siamo andati ad altri opening a Brooklyn (ho adorato la mostra da Pierogi, una galleria di Williamsburg di cui apprezzo tantissimo il lavoro).

 

Quando ho lasciato Eric, che si avviava verso la stazione dato che abita fuori città, erano circa le 10.30/11 di sera ed ero stanca morta, i piedi mi bollivano dal gran camminare (Chelsea, Brooklyn, Meat District, e via dicendo, su e giù … ). Quindi prendo il bus 14 (ovviamente il bus 14 passa per la 14ma strada!), scendo in avenue C e mi avvio a piedi verso casa, pensando che forse mi sarei bevuta una birretta nel pub all’angolo, dato che era sabato sera e dato che avevo una gran sete. Ma ecco che come al solito accade qualcosa di inaspettato: sento uscire una musica rock bellissima da un locale, e naturalmente ci entro: il posto era un pub semplice, con uno spazio per la musica, non molta gente, e i musicisti avevano un ritmo e una musica che mi ha coinvolto e magnetizzato … morale della favola, abbiamo fatto le 4 di notte ballando e divertendoci un casino! Parlo al plurale, anche se ero entrata da sola … parlo al plurale perchè eravamo dentro questo pub in 7 o 8 persone, più 6 – dico 6 – musicisti della banda, ed io, che non so resistere quando la musica è buona ed emana energia, ho cominciato a ballare, e poi tutti gli altri, in un crescendo di energia, si sono messi a ballare (la band ha poi ammesso di aver percepito questa energia e di aver suonato ancora meglio), semplicemente, allegramente, tutti come amici di lunga data, tutti entusiasti di essere lì, di sentirci vicini, di scambiarci i biglietti da visita, e poi sapere che forse non ti vedi più, perchè New York fagocita tutto e ti dà tutto. Ma intanto ti senti al settimo cielo e in sintonia perfetta con dei perfetti conosciuti, come se fossero amici da tempo (oddio, penso a Milano come la gente solitamente sia rigidina e bloccatella, e mi viene da ridere … ). Poi se non li vedi più o no, è un’altra storia. (Però il musicista il giorno dopo mi ha telefonato, e siamo andati a giocare a biliardo. ossia: voleva insegnarmi il biliardo, come anche Mario ha tentato di fare, ma mi sento così goffa con quella stecca in mano che non riesco proprio a divertirmi molto …

 

Conclusione: domenica ero in low energy dopo questo sabato ricco come fossero 4 giornate differenti (ah sì, ricordo anche che tornata a casa, più delle 4 di notte, mi sono pure messa a scrivere e-mail … ) ed ero cotta come una campana, nonostante avessi dormito tutto la mattina. E domenica è stata una giornata lenta, riposante, quasi offuscata dalla stanchezza e dai troppi stimoli. Quindi il corpo dice: letargo! Ed io eseguo …

75. Comincio a girare per l’Art Week: l’Opening dell’Armory Show

E’ un po’ che non mi sentite, ma siete fortunati perché quando vi svegliate stamattina, in Italia, vi trovate il mio bel post con le impressioni calde calde dell’Armory Show di New York. Whau! Non ve lo aspettavate, vero?
Sto scrivendo di notte, questa sera, proprio per voi, così avete le notizie fresche fresche (e se qualcuno è interessato … posso fare la corrispondente da New York!) Non vi farò però un resoconto giornalistico, né una recensione critica, ma vi racconto le mie impressioni da artista e da persona curiosa.
Devo anche dirvi che ho voglia di andare in giro per mostre, è un modo bello anche per viversi la città e cogliere la sorpresa di New York, perché le scorse settimane ho fatto una vita piuttosto ‘normale’ e ritirata, lavorando molto ai miei progetti da attuare in Italia al mio rientro, e all’aggiornamento del mio sito in inglese, ai contatti con le gallerie americane, e allo sviluppo di un paio di idee nuove nuove … (v. post precedente).

 

Contrariamente a quanto accade per molti, che vengono a New York per un obiettivo specifico, io amo venire qui per pensare e per creare, perché la città mi stimola molto, trovo tutto ciò che cerco facendo minima fatica (come per esempio ristampare i miei biglietti da visita in carta bellissima, spendendo solo 100 dollari per 1000 esemplari fatti alla perfezione), e mi riempio gli occhi con stimoli di ogni tipo, anche se a volte ti senti un po’ sola in mezzo a tutte queste persone, conoscenze, possibilità.ma anche questa ‘solitudine elettrizzante’ è molto creativa, hai migliaia di stimoli e molto tempo per elaborarli …

 

Ho cominciato oggi dunque a girare per il turbinio di eventi che ci sono durante questa settimana dell’arte newyorkese. A dire il vero ho cominciato ieri, non a girare, ma a farmi un programma: nella selva di fiere, eventi, mostre, special e performance, ciascuno con i suoi orari e luoghi e incastri, se non mi facevo una scaletta e selezione di cose che mi interessava di vedere, finiva che andavo in giro come una scema, come spesse volte capita, ammutolita e annebbiata dalle troppe cose da vedere in contemporanea. Invece stavolta, sì, vado mirata, e ho fatto una selezione che è una chicca, e che mi è costata tutto ieri pomeriggio e sera per documentarmi sul web (sapete la miriadi di opening che ci sono? E la dislocazione geografica da Brooklyn al Pier 94 in 12 Avenue al PS1 a Long Island City in Queens, passando per Chelsea, Lower East Side, Midtown? E i conoscenti o amici o enti o gallerie che hanno mandato una e-mail in queste ultime settimane? … ).

 

Ma andiamo al sodo, immagino che volete sapere come era l’Armory Show …

Intanto, vi rivelo che non avevo nessun biglietto per l’Opening, perché qui non ne danno e nessun artista o addetto ai lavori con cui ho parlato, li aveva. (I giornalisti sono una categoria differente, loro entrano sempre ovunque … ) Il costo per entrare al preview dalle 2 del pomeriggio era di (guardare la tabella per crederci … naturalmente c’era incluso anche il party al MOMA … 😉

 

  • The $750 Patron ticket includes one ticket for early access to The Armory Show at noon, one ticket for the VIP Hour at MoMA, and one ticket to The Armory Party at MoMA.
  • The $250 ticket level includes one ticket for the VIP Hour at MoMA, one ticket to The Armory Party at MoMA, and one ticket for Vernissage Access to The Armory Show at 5:00 p.m.
  • The $125 ticket level includes one ticket for Vernissage Access to The Armory Show at 5:00 p.m. and one ticket to The Armory Party at MoMA (9:00 p.m. to 12:00 a.m.).

 

 

Così sono andata là sapendo che forse sarei entrata in qualche modo, ma prendendola con filosofia: se non entravo oggi sarei entrata l’indomani pagandomi il bigliettino per il pubblico (30 bei dollarucci … ). Però se entro oggi è meglio, così faccio come fa la ‘cream’: oggi l’opening all’Armory, domani un’altra fiera, e poi venerdì l’altra e l’altra … senza perdere un colpo!).

 

Contenta della mia mappa personalizzata, mi dirigo quindi con molta calma verso la 55th street and 12 avenue, facendomi una grande camminata (l’opening era dalle 5, perché dalle due era per quelli che pagavano un sacco di soldi …), vestita di tutto punto (se mi vedevate i giorni scorsi, stanca morta e scarruffata, per le strade di Manhattan non mi avreste riconosciuto … !), perché s’ha da fare, e perché così mi è più facile entrare.
E naturalmente sono entrata – gratis –  al vernissage. Non vi dico come ho fatto, ma ho usato davvero molta classe ( e un poco di faccia tosta … ).

 

L’Armory Show è diviso in due diversi padiglioni, in due paralleli ma abbastanza distanti padiglioni – ex cantieri navali, il Pier 92 per l’Arte Moderna, e il Pier 94 per l’Arte Contemporanea. Io sono andata solo al 94. Ricordo edizioni di anni precedenti dell’Armory, compreso quello in cui avevo fatto la performance, dove le gallerie erano moltissime, invece questa edizione (e anche quella dell’anno scorso ricordo) con conta molte gallerie, ma naturalmente conta molte delle top list gallerie del mondo, con rappresentanze di tutti i continenti (No, a dire il vero, ho visto poche gallerie africane … ).
Come novità ci doveva essere anche una lounge con Armory performance, film e talk, però mi è sembrato più fumo che arrosto: una grande lista di performance, ma alcune erano nelle ore riservate a quelli che pagavano di più (dalle 13 alle 17 … ), e altre dovevano essere dopo, ma non ne ho vista nessuna, ho visto solo un palco con dei musicisti-o strumentisti- che sistemavano attrezzatura per la performance … (qui si dice ‘performance’ tutto, dalla musica al ballo, ed è ben distinta dalla ‘performance art’ delle arti visive, ma spesso fanno confusione anche loro, propinando concerti per come fossero art performance. Ho saputo anche di una performance che c’era stata nelle ore precedenti, che consisteva in persone che andavano in giro per la fiera con una calzamaglia bianca su tutto il corpo facendo una specie di danza … (beh, non mi sembra un lavoro proprio da mozzare il fiato … !).

 

Andiamo dunque a vedere gli stand. Devo premettervi però che, contrariamente al solito, ero serena e l’atmosfera era distesa e con una buona energia. Ho detto ‘contrariamente al solito’ perché spesso agli opening importanti o in genere a tutte le fiere, mi sento piuttosto nervosa,  o percepisco un grande snobbismo che mi nausea, o mi viene il nervoso per una certa qual parte di vuotezza e non sense che vedo, o mi sento inadeguata, o adirata … tanti sono i contrastanti sentimenti che negli anni mi hanno accompagnato per le fiere d’arte. Questa volta invece, e me ne sono sorpresa io stessa, ero serena, e il clima generale era piuttosto cordiale. Certo, io ero più  rilassata del solito, non me ne frega niente di prendere contatti, perché un po’ già li ho, e poi perché ho deciso che non prendo più contatti ma aspetto che mi vengano a cercare … (e, forse dovevo impararlo molto prima ;D … ).

 

Cosa ho visto di interessante? Invero un po’ pochino. Molti lavori ‘costosi’, enormi, accurati, molti nomi importanti, ma poca sperimentazione (ma questo era evidente, aspettiamo di vedere le fiere più interessanti di Volta, o Indipendent o Fountain … ).

Un po’ di freschezza e di proposte interessanti le ho colte nelle gallerie brasiliane (si vede che il brasile sta esplodendo ora … ) e in quelle orientali, soprattutto coreane (tra le altre cose una galleria di Seul ha esposto un Paik bellissimo che non avevo mai visto (ed è edizione unica).

 

1988 Nam June Paik, N005 Swiss Clock Courtesy of NAN JUNE PAIK ART CENTER

 

La Fiera quest’anno aveva come ospite la Scandinavia, e c’era una sezione di gallerie Nordiche invitate speciali, con opere o esageratamente ‘fredde’ (tipicamente ciò che ci si aspetta da quei paesi) o esageratamente ‘calde’ (totem pseudoafricani  pittura gestuale su cartone sfracellato … ). Alcuni lavori mi sono piaciuti e li ricordo, ma già ora non mi vengono più in mente quelli che mi hanno veramente emozionato (forse solo il Paik? No, anche una stampa di Baldessari per la White Cube, e alcuni altri … ).
Una delle poche gallerie innovative e giovani e fresche presenti in fiera che ha portato opere che mi sono piaciute e non solo estetiche, ma anche di ricerca, è la galleria di Brooklyn Pierogi.
E’ stato bello, infine, e questo è un fatto squisitamente umano, ritrovare degli amici, come la cara Oxana, che era un sacco che non vedevo, venuta apposta dall’Italia, o l’amico Lee, col quale avevamo fatto mostre insieme alcuni anni fa – ai tempi dei pazzi galleristi Weisspollack …

 

 

Bon, ora vado a dormire, comincio a diventare fusa, se volete ulteriori aggiornamenti controllate spesso il blog nei prossimi giorni!!! ( ma non garantisco di riuscire a fare una cronaca quotidiana … ).