80. Coney Island, Queens e performances a Brooklyn

Ecco finalmente vi scrivo, sono nel mio angolino magico a Coney Island, che mi sono conquistata (ossia ho procrastinato varie cose e mi sono fatta più di un’ora di metro – anzi un’ora e mezza perché c’era un guasto) e sono venuta qui per ricaricarmi, e anche scrivere.
Scrivo sul quadernino, poi lo dovrò copiare, che poi ho anche il computer dietro nello zainetto, ma non è il caso di usarlo sulla spiaggia … sì sono davanti al mare, seduta sullo scoglio col sole davanti: oggi è una giornata stupenda, so che il week-end sarà più bruttino e piovoso (dovrò andare a Washington, ma non è un problema, ci vado per vedere il caro amico Mengoz dopo tanti anni!! – Prima coabitazione di casa a Bologna, primo anno di Università …) e quindi ho seguito il mio corpo, il mio istinto e la mia necessità e sono venuta a Coney Island.

 

Amo questo posto, prendi la metropolitana da Manhattan e ti fai tutta Brooklyn, ma poi il treno ti lascia a pochi metri dall’Oceano (certo che dire questa parola fa effetto, ma è proprio così che si chiama … ).
Sono arrivata qui per pensare, respirare, sentire il mio corpo, trovare un silenzio per decidere, prendere lentezza (una cosa molto stancante di New York è che è rumorosissima, anche se a volte tutti quei rumori sono gioiosi, perché è una vita che scoppia ovunque in questa città mai ferma).

 

Ieri sono stata nel Queens, al capolinea della linea 7, a cercare la zona dei templi multi religiosa per il progetto fotografico-performativo sulle religioni (+ tante foto per il nuovo progetto sul cibo che sto facendo) ed è stata una giornata molto dura.
Vi racconterò in un post a parte prossimamente, della miriade di persone, della disperazione che ho visto, degli occhi vuoti delle persone, della fatica di vivere che ho sentito e percepito sin dentro le midolla e di come io ne sia stata penetrata e mi sia sentita uno straccio, e di come NYC siano almeno 20 città diverse, e di come la moltitudine di volti, persone, numeri sia impressionante ovunque, e di come ci sia gioia e disperazione e disponibilità e diffidenza in uno scambio senza sosta e imprevedibile …

 

Ma oggi invece vi racconto di Coney Island. E’ un posto che amo (forse l’ho già detto, ma fa niente, lo ripeto!) Primo: c’è il mare e c’è la spiaggia. A New York fortunatamente c’è il mare da tutte le parti, ma le spiagge sono rare, oppure lontane. Secondo: c’è la spiaggia, ed è puntata verso sud (credo), ossia vado là per prendermi il sole in faccia guardando il mare, e da trequarti riminese quale sono, per me prendere il sole nelle ossa su sabbia e/o scoglio, è un cibo primario ed ineludibile. Terzo: è un posto assurdo di contraddizioni mass popolari, col nuovo e il decandente, la desolazione, il lavoro, l’ilarità e la multiculturalità della vita americana più provinciale e suburbana ma al tempo stesso metropolitana.

 

Quando sono arrivata, invece del sole sfavillante che c’era a Manhattan c’era una nebbia quasi felliniana: tutto bianco, ovattato, annebbiato, ma non freddo. Il mare non c’era. Nebbia bianca ovunque, e la sirena (si sente anche a Rimini quando c’è la nebbia) che suonava ritmata. La nota felliniana era che in mezzo a tutta sta nebbia bianca e fumosa, c’era gente ovunque, anche in costume da bagno, sdraiata sulla sabbia o che giocava a pallone come se niente fosse (per me era freddino senza il sole … siamo a marzo d’altronde, anche se col sole c’erano 28 gradi!, ma senza molto meno … )

 

Quindi, uscita dalla metro e vedendo sta grande nebbia, mi sono detta: ok, non posso prendere il sole e scrivere sulla spiaggia, quindi farò come fanno gli americani: vado a mangiare i famosi hot dog da Natan’s (da specificare che io di solito non mangio il maiale), e anzi, per la prima volta da quando sono qua, mi prendo il full meal con tutte le schifezze, voglio proprio provare a vedere come si sta: patate strafritte, hot dog con panino dolce, coca gigante (sì anche quella) e tutto nelle scatole, come fanno qui, to ‘take away’.

 

 

Mi sentivo ridicola, con zainetto che cadeva, le scatole del cibo in mano e faticosamente tenendo la big coca cola, nell’atto di spiacciccare le salse varie nel pacchetto e incamminarmi goffamente verso la panchina davanti alla spiaggia a mangiarmi il mio cartoccio. D’altronde qui sto cominciando un progetto sul cibo (non ve ne ho ancora parlato perché è nuovo nuovo e perché è sul nascere, ma anche perché non voglio svelare molto … ) e tra le tante contraddizioni l’uso del cibo spazzatura è un’abitudine che permea l’America nelle midolla…
Capisco anche perché è nata la Coca Cola e perché qui per abitudine si mangia con la coca cola: perché è uno sturalavandini! Mangiando tutti quei grassi e zuccheri e cibo artefatto e soffritto ci vuole una trivella digestiva che ti faccia buttare giù il cibo … Devo dirvi però che, dopo due ore che avevo mangiato, coca o non coca, il cibo era ancora nella parte più alta dello stomaco, gnucco gnucco.

 

Parentesi cibaria a parte, poi il sole è ritornato, mi sono messa a scrivere e pensare e mi sono ricaricata , per poi continuare una giornata intensissima, sono tornata a Manhattan mi sono messa a lavorare un paio d’ore al computer da starbucks e poi sono andata a Brooklyn al Grace Exhibition Space, a vedere tre performances, e a parlare con la gallerista Jill riguardo alla nuova performance che probabilmente farò da loro (voglio sviluppare un ‘duetto’ insieme con Harry, lo scrittore, che scrive testi meravigliosi basandosi sui miei video e i miei progetti … ).

 

Parlare con Jill è stata una gioia, perché, nonostante siamo cresciute in parti del mondo molto distanti, abbiamo avuto un background simile ed entrambe portiamo avanti la performance art come il massimo sviluppo delle nostre potenzialità artistiche, e abbiamo entrambe vissuto i periodi – non molto tempo fa – quando la performance la conoscevano in pochi ed era fuori dai venue artistici principali. Sì anche a New York, non solo in Italia. Ora siamo entrambe contente che da qualche anno la scena artistica internazionale ha riscoperto la performance art e le sta dedicando l’attenzione che merita. E’ come se si stesse assistendo a una rinascita di questa forma d’arte, e ne siamo tutti naturalmente felici. Tanti sono stati gli anni quando a chi ti chiedeva cosa facevi e rispondevi ‘performance’ vedevi la loro faccia inebetirsi e chiedere cos’era o se assomigliava alla danza o a cosa … oppure i galleristi che dicevano: interessante, ma cosa vendo? – Beh, anche oggi non è che la performance navighi nell’oro, ma ogni serio movimento artistico del passato non è mai nato pensando a cosa vendere, semmai al contrario cercando di demolire il sistema del commercio e del mercato dell’arte, o quanto meno criticandolo.
Sono rientrata a casa riprendendo il treno fino a Manhattan, e poi la bici alla fermata Delancey … molto stanca ma molto contenta (a Coney Island ho anche girato delle riprese molto emozionanti e petiche che un giorno mi serviranno per un nuovo lavoro video, che è già bello lì pronto nella testa e nel cuore! (La mi testa frulla sempre e pullula di idee e di possibilità, però realizzare tutto è molto complicato, e molto lento, ma io vado avanti a poco a poco, a volte lenta, a volte correndo, ma sempre, dico sempre, cerco di realizzare tutte le idee che vedo nella mia testa (anche perché una volta che appaiono non vanno più via, e ternerle tutte e accumularle lì fa male … per quello che cerco, per quanto possibile, di fare prima o poi tutto ciò che penso o desidero realizzare … ).
(Il lunapark di Coney Island – forse il più vecchio al mondo – riapre i battenti … ).

 

16. Capodanno, post capodanno, litigi vari e bed bugs

 

Il 31 mi sono divertita tantissimo, siamo andati a due belle feste, abbiamo bevuto tutta sera champagne, e ballato tantissimo a un party di due artisti gay scozzesi nell’East Village, dove mi avevano invitato le sempre informatissime Amanda e Doreen.

 

Ma i problemi cominciano subito dal risveglio dell’1 mattina. Quando Mario è nervoso diventa intrattabile e invece di tenerezze o romanticismi comincia a imprecare per il caldo (sì a New York gli appartamenti sono stracaldi, ( Per fortuna! Dico io … ).
Poiché in Canada mi ero beccata una specie di influenza che ho miracolosamente tamponato per affrontare il Capodanno, non potevo prendere freddo, mentre Mario anche in inverno starebbe con la finestra spalancata tutto il tempo, ma io ero raffreddata. Così si innervosisce (fa tutto da solo) scatta ed esce, io gli dico che avevamo preso l’ananas e altre cose per fare una bella colazione romantica insieme il primo dell’anno e lui si arrabbia dicendo che lo forzo, prende ed esce, ed è già la solita bufera.

 

Fortunatamente il pomeriggio avevamo una festa di capodanno diurna dalla famiglia che mi ha ospitato a Brooklyn quando sono arrivata, così non dovevamo stare soli, perché c’era aria di tempesta. La festa era carinissima, io sto benissimo, lui pure, poi arriviamo a casa e decidiamo di andare al cinema, andando però in giro nella zona Times Square. Litighiamo per una stupidata della strada da fare e di dov’è il cinema, ma quello che non tollero è che lui scatta imprecando ed avendo crisi di nervi, che io trovo totalmente fuori luogo e che mi spaventano. Comunque, non voglio tediarvi, ma il 2 la tensione aumenta per cretinate, andiamo a Coney Island e quando torniamo usciamo dalla metro a Chinatown. E’ sempre difficile orientarsi quando si esce da una metro a New York, perché tutto può essere sud ovest est o nord. Di solito se non mi oriento io chiedo, perché odio andare dalla parte opposta, ma Mario mi dice che secondo lui è di là. Ok, dico. Poi mi chiede conferma di cosa penso. Dico che non so orientarmi, se vuole chiedo a qualcuno. No, dice, è di là. Ok, dico, e continuo ad ascoltare la musica con l’ipod, anche per fargli prendere l’iniziativa, dato che il litigio dell’1 per il cinema era che lui si è arrabbiato che ho chiesto ad altri … così lo seguo, ma lo vedo nervosissimo, arriviamo ad Hallen Street, e mi chiede se la strada mi dice qualcosa, sì dico, ma non so dove siamo perché ti stavo seguendo, e lui comincia a diventare paonazzo, esplode in ira e in scintille trattandomi malissimo dicendo che non collaboro, ecc … io non so più che fare e che pensare, lui fa un crescendo di ira, prende e fugge, va a casa e fa la valigia, torno a Montreal dice, è meglio per tutti e due. Ok gli dico, vai se vuoi, questa volta non sconvolgendomi e non piangendo, perché era davvero assurdo il suo comportamento.
Vado al cafè internet davanti a casa ( da Nora non c’è internet) e mi chiudo in me stessa. Lui gira per New York con la valigia poi alla sera decide di rimanere. Facciamo pace, ne parliamo tutta notte, parliamo come sempre di ciò che fa scattare lui o che fa scattare me, la mattina mi regala dei fiori, io mi commuovo.
Il giorno dopo dovevamo traslocare per la nuova casa, io ero eccitatissima, lui non si sa quanto sarebbe stato a New York, ma gennaio se l’era preso libero per affittarla insieme. Trasportiamo tutto col taxi, arriviamo là è piccolissima microscopica e vecchissima, ma in Mc Dougall street nel West Village, proprio il quartiere dove Kevin mi accoglieva quando venivo a New York alcuni anni fa, e che considero un po’ ‘la mia zona’.
Io contenta, Mario contento, mi dice meno male che sono rimasto. Andiamo a cena a festeggiare.

 

La mattina dopo lui si alza con dei pizzichi e diventa nervosissimo. A New York c’è l’allarme, da tanto, di un’epidemia di bed-bugs, che sono animali che si ficcano nei materassi e si possono sparpagliare ovunque,  e Mario è convinto che la casa ne sia infestata, e mi stressa dicendomi che dobbiamo andare via, che bisogna risolvere il problema … ecc … io non sono stata pizzicata e ho dormito benissimo, dico aspetta, non drammatizzare, ma lui vuole litigare dicendo che non lo aiuto a risolvere i problemi (cosa???? Allora perché non trova lui l’alternativa?)  poiché i pizzichi sono aumentati, e sono molti, la notte seguente decide di dormire per terra, allora cominciamo ad avvisare chi possiamo del problema, ma la proprietaria è in Italia e non risponde alle e-mail, nella casa non funziona la connessione internet per cui niente skype, ecc.
Io ( e perché sempre io?? Lui mi stressa, dice che non mi occupo di lui, mi tratta male, esplode in ira, ma non fa niente di niente) chiamo l’amica della nostra affittuaria che ci ha dato le chiavi, e l’amministratore del palazzo, che dice che bisogna chiamare l’exterminator e lavare tutti i vestiti in casa, ecc, ecc. che si attiverà, ecc. ecc. Mario impazzisce, è come se dà la colpa a me, e tutto diventa incubo, la casa vecchia e sporca, Mario fuori di testa coi pizzichi dei bad-bugs, io terrorizzata dai suoi furori … Mario dorme un’altra notte sul pavimento. La mattina appena alzata vado in pigiama nel cucinino (l’unica altra parte della casa, dove lui ha dormito) e Mario mi apostrofa trattandomi male dicendo che col mio pigiama gli porto l’infezione. Io deliro ma mi tolgo subito il pigiama – perché ho paura davvero quando si arrabbia – lo metto sulla scala del soppalco, rimango nuda e vado a fare la doccia, e lui sento che esplode come una jena che il pigiama era sulla scala del soppalco e non sopra il letto, esplode in improperi fa la valigia e grida per l’ennesima volta che se ne va, e prende ed esce con tutte le sue cose. Io rimango frastornata e piangente, arrabbiata, delusa che non funziona mai niente, e piango nella casa coi bed-bugs.
Dopo qualche ora mi telefona che è alla stazione delle corriere per prendere il bus per Montreal, io sto malissimo sento che la storia è davvero finita e forse è pure un sollievo, però mi arrabbio anche perchè come al solito lui prende e scappa, lasciando me a risolvere tutti i problemi,  prende e va, come ha fatto tante altre volte … Ha preso il bus per Montreal ed io sono rimasta a New York, sono stata accolta da Janet, che pazientemente ha ascoltato i miei pianti e il bisogno di sfogarmi, e ho dormito da lei. Anche se ferita e delusa, sono triste che questo amore non porta frutti, che ci amiamo ma ci facciamo del male, e in fondo al cuore so che forse devo ringraziare Mario che sta fuggendo, perché mi dà tregua da questo rapporto che non funziona più.

 

Mi sono svegliata stamattina senza aver dormito quasi niente, e sono andata alla funzione in una chiesa chiamata Marble Church (non so bene a quale delle mille confessioni cristiane che ci sono qui appartiene) dove c’è una celebrazione strana che sembra un concerto e uno show, e dove ci sono persone simpaticissime, che avevo scoperto per caso i primi giorni a New York. Sapevo che dovevo farmi coccolare da Dio e da Lui trovare una risposta. Piansi tantissimo, ma anche tramite le parole dolcissime di Dale, (una giovane donna di Harlem, conosciuta l’altra volta e con cui ero rimasta in contatto, ed è stata la prima persona che ho trovato – non a caso – nella folla festeggiante del dopo funzione (lì fanno sempre incontri pranzi e feste e la chiesa è un edificio con 10 piani dove c’è di tutto) e le parole poste da Dio dentro il mio cuore, ho capito che forse è meglio così, perché tutto ciò è successo per non perdere tempo distruggendosi, ma perché devo ricominciare  a focalizzarmi su di me, come avevo fatto faticosamente nell’ultimo periodo in Italia, e portare avanti gli obiettivi, andare avanti nell’arte e poter dare sempre di più questi doni, e cominciare finalmente a vivere questa città con lo stupore negli occhi e cominciare a reagire, ringraziare di tutte le persone, e sono molte e sono ovunque, che mi sono vicino e che mi amano e che desiderano fare delle cose con me (e ho avuto sentori e segnali).

 

Il pomeriggio sono andata di nuovo nella casa dei “bed-bugs”, doveva arrivare lo sterminatore, mi sono rimboccata le maniche e ho dovuto liberarla da tutte le cose che c’erano, era sporchissima e c’erano un sacco di cose della padrona di casa sparse ovunque che andavano imballate nei sacchetti, ecc, ecc.
Ora vi scrivo da un internet cafe, stasera ancora dovrò dormire fuori, domani risolvere dove mettere le cose, rigirare la casa come un calzino, portare tutto in lavanderia, ecc … ma questa è New York, dove tutto succede, dove tutto succede velocemente, e dove tutto è imprevedibile. Non sono arrabbiata con Mario, lo amo ancora, e amo le sue ferite, così come amo le mie ferite, provo compassione per il suo dolore, così come provo compassione per il mio dolore, ma io venendo qui ho messo tutta la buona volontà e tutto l’impegno possibile per mettere insieme una convivenza con lui, e solo a New York sapevo che la sofferenza non ha tempo per rimanere, che bisogna voltare pagina, e cercare di gioire di questa città e trarre i frutti che è pronta a darci.

 

Mario mi ha chiamata nel pomeriggio, mentre io stavo combattendo da sola contro i bed-bugs, dicendomi che era tristissimo e soffriva, così come anch’io gli ho detto che ero tristissima e soffrivo, ma stava arrivando lo sterminatore e bisognava che preparassi le robe di quella casa nei sacchi, non avevo più tempo per soffrire delle nostre ferite e della nostra storia che non funziona, lui era scappato, ma io ero qui da sola a New York a dover combattere la battaglia. Non so cosa succederà, so però che bisogna andare avanti, e io voglio combattere la battaglia, e vivere e gioire, e seguire le vie che ci sono preparate.