182. Zygmunt Bauman e la sua attualità

Ho letto nei mesi scorsi due libri illuminanti di Zygmunt Bauman,  “Dentro la globalizzazione”, libro profetico e attualissimo, scritto nel 1998, e  “Vita liquida” del 2005.

 

Ciò che mi sembra di cruciale importanza, rispetto alle tematiche attuali che stiamo vivendo, è la sua tesi in cui sostiene che la società ‘liquida’ sta causando una sempre più libera circolazione di persone, di capitali, di idee e di comunicazioni – i ‘ricchi’ oggi sono coloro che possono muoversi – ma al tempo stesso causa uno stagnamento e un impoverimento delle possibilità per le persone e le classi che non possono muoversi. Se al contrario di un tempo in cui i ricchi erano legati alle loro ‘proprietà’, che erano dei beni immobili, oggi i beni sono mobili e un rendimento economico può essere realizzato in disparate parti del mondo, anzi si sposta in diverse parti del mondo, lasciando chi non può muoversi altrettanto liberamente (o a chi viene impedito di muoversi) in luoghi che non hanno più risorse di lavoro o che sono tormentate da conflitti devastanti.

 

Preferisco però fare parlare Bauman, con le sue cristalline e taglienti parole. Cito alcune sue frasi essenziali, un po’ a random, tutte tratte dal libro del 1998, che hanno una profetica aderenza a ciò in cui siamo immersi oggi:

 

“I mondi sedimentati ai due poli, al vertice e al fondo della emergente gerarchia della mobilità, differiscono nettamente. Per il primo mondo, il mondo di chi è mobile su scala globale, lo spazio ha perduto la sua qualità di vincolo e viene facilmente attraversato sia nella sua versione «reale» sia nella sua versione «virtuale». Per il secondo mondo, quello di coloro che sono legati a una località, di coloro cui è vietato muoversi, costretti perciò a sopportare in modo passivo qualsiasi cambiamento che il luogo cui sono legati è costretto a subire, lo spazio reale si va rapidamente restringendo. (…)

I residenti del primo mondo vivono nel tempo; lo spazio non conta per loro, dato che attraversare qualsiasi distanza è ormai istantaneo. (…) I residenti del secondo mondo, invece, vivono nello spazio: pesante, gommoso, intoccabile, che lega il tempo e lo tiene al di fuori del controllo dei residenti. (…)

Per gli abitanti del primo mondo – il mondo extraterritoriale, sempre più cosmopolita, degli uomini d’affari globali, dei manager della cultura globale, degli accademici globali – i confini statali sono aperti, e sono smantellati per le merci, i capitali, la finanza. Per gli abitanti del secondo mondo, i muri rappresentati dai controlli all’immigrazione, dalle leggi sulla residenza, dalle «strade pulite» e dalla «nessuna tolleranza» dell’ordine pubblico, si fanno più spessi. (…) I primi viaggiano quando vogliono, dal viaggio traggono piacere, sono indotti a viaggiare o vengono pagati per farlo e, quando lo fanno, sono accolti col sorriso del benvenuto e a braccia aperte. I secondi viaggiano da clandestini, spesso illegalmente. Accade ancora che paghino per l’affollata stiva di barche puzzolenti e rabberciate più di quanto gli altri non paghino per il lusso dorato della «classe affari».” pp. 98-100

 

“Piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, l’annullamento tecnologico delle distanze spazio-temporali tende ad annullarla. Emancipa alcuni dai vincoli territoriali e fa sì che certi fattori generino comunità extraterritoriali, mentre priva il territorio, in cui altri continuano ad essere relegati, del suo significato e della sua capacità di attribuire un’identità. (…) Quando le «distanze non significano più niente», le località, separate dalle distanze, perdono anch’esse il loro significato. Questo fenomeno, tuttavia, attribuisce ad alcuni una libertà di creare significati, dove per altri è la condanna a essere relegati nella insignificanza.” p. 22

 

“Le ricchezze sono globali, la miseria è locale.” p. 83

 

“… è così difficile, senza sentirsi colpevoli, negare ai poveri e agli affamati il diritto di andare dove l’abbondanza di cibo è maggiore; ed è virtualmente impossibile avanzare argomenti razionalmente convincenti per provare che le migrazioni sarebbero, per loro, decisioni irragionevoli. La sfida è davvero terribile: si deve negare agli altri lo stesso diritto alla libertà di movimento di cui si fa panegirico definendolo il massimo risultato della globalizzazione mondiale…” p. 85

 

 

LIUBA, Refugees Videos, Edizione illimitata video in HSB e poster.   COMPRA UNA COPIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

166. Donating to Refugees at Tempelhof refugees camp

Getting into the big refugees camp at the Tempelhof former airport was not possible without appointments with volunteers.
I contacted them and I went into the camp cafe (hangar 1) which is the only place where not refugees people can go and can meet them.

 

My mission, at the moment, is to donate the small income coming from the two copies of my refugees videos edition which were sold at the edition launch. I also want to open a ‘canal’ to reverse any future income from those sales directly into the hands of refugees.

 

I met two young guys, teenagers, one from Syria and one from Afghanistan and I simbolically donated to each one the proceeds of the videos, one for each.
It’s just a drop into the ocean, but my Refugees Art Project is generating real help.
This is a performance.

 

 

Campo rifugiati di Tempelhof a Berlino. LIUBA dona i proventi della vendita delle due edizioni dei suoi video sui rifugiati a due giovani rifugiati, al cafe dove vari volontari hanno contribuito ad aiutarmi a compiere la missione.

165. Refugees Video Edition debutta a Berlino

Martedì 17 gennaio ero a Berlino ad Image Movement a presentare l’edizione a tiratura illimitata dei miei video con e sui rifugiati, che sarà disponibile in vendita (braccialetto usb con i video + pieghevole info e poster) e il cui ricavato andrà in parte ad aiutare direttamente i rifugiati.

 

Mi piace molto Image Movement, dove avevo presentato un’antologica dei miei video lo scorso anno sempre a gennaio, è un posto dedicato alla video arte, al video d’artista, al video sull’arte, ai film d’autore e alla musica di ricerca. E’ un piacere andare a piluccare novità e piccole golosità in questo spazio, e sono felice che da ora in poi sarà possibile anche trovare i miei video in vendita!

 

E’ in realtà un’eccezione che i miei video siano distribuiti a tiratura illimitata (ma degli stessi lavori esiste anche un’edizione da collezione a tiratura di 3, come per gli altri miei video), ma visto la tematica così universale e attuale di questi lavori ho sentito il bisogno che queste opere circolassero anche fuori del ristretto contesto dell’arte o dei festival e che fossero accessibili a tutti. E’ un esperimento, ma anche una dichiarazione concettuale

 

Ed ecco alcune foto dell’evento berlinese:

 

 

 

 

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153. Sebastianstrasse e il muro

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Quando sto a Berlino non ho abitato altro che a Kreuzberg e a Neukolln. Sono queste le parti della città che amo di più. E’ qui che sento soprattutto questa atmosfera speciale di internazionalità, di creatività, ed è qui che la città si manifesta in tutti i suoi parchi e i suoi canali. Non è una cosa strana che mi piaccia questa zona, anzi è quasi ovvio, e forse è pure un pochino inflazionata, ma non posso farci niente: per me è ancora la Berlino che amo di più.

 

In questo periodo ho abitato in Sebastianstrasse, strada di Kreuzberg vicino ad Oranienplatz, e proprio su questa strada passava il muro che divideva Berlino. Per cui, il lato della mia casa è nella parte ovest, ma davanti ci sono case che prima erano nella parte est. Strano e curioso. Fa molto pensare. Ancora oggi si può distinguere precisamente, sia a livello architettonico che urbanistico, quale parti prima erano dell’est e quali dell’ovest, ed averle entrambe vicine fa un certo effetto. Ieri ho visto una mostra ‘panorama’ in cui c’era una ricostruzione fedele, attraverso un collage di fotografie ingigantito a dimensione reale, della Berlino anni 80, quindi col muro, proprio a partire da Sebastianstrasse, cioè esattamente dove ho abitato in questo periodo. Condivido con voi alcune foto della sebastianstrasse di allora, col muro. Il portone rosso sulla sinistra, quello in cui stanno facendo il trasloco e portando il tavolo, è la casa dove ho vissuto fino a qualche giorno fa.

 

 

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149. Performance partecipativa YOU’RE OUT a Berlino

La seconda performance con i rifugiati che feci a Berlino, con l’aiuto della troupe di Zachary Kerschberg (v. post precedente), si intitola YOU’RE OUT e prende spunto dal gioco delle ‘sedie musicali’ che si faceva quando si era piccoli: c’è sempre qualcuno escluso perchè non c’è un posto per tutti.

 

Ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno partecipato alla performance, i cameraman che hanno fatto le riprese, Zach e la sua troupe per l’organizzazione e specialmente Dominique Morales che è stata splendida nel fornirci il supporto nel trovare le sedie, il musicista e molti partecipanti.

 

Ed ecco a voi alcune foto e il comunicato di questa bella performance partecipativa realizzata a Berlino in Oranineplatz, la simbolica piazza che ha ospitato il campo di protesta dei rifugiati per più di un anno.

 

 

LIUBA, YOU ARE OUT, Oranienplatz, Kreuzberg, Berlino, 16/11/14

Performance partecipativa per un gruppo misto di rifugiati e cittadini.

 

 

In questo progetto, che segue e sviluppa Refugees Welcome Project, LIUBA continua a concentrarsi sul problema dei rifugiati in Europa e sul problema dell’integrazione e dell’accoglienza dei rifugiati. E’ un progetto che riflette anche in generale sul concetto di espulsione da una comunità.

 

L’idea della performance è quella di giocare un gioco che simbolicamente riflette ciò che accade nella realtà: non c’è sempre abbastanza spazio per tutti. Il gioco è uno di quelli vecchi che molti di noi avranno sicuramente giocato da piccoli, permettendo alle persone di sperimentare, con i loro stessi corpi, la sensazione di essere rifiutate e la lotta per trovare un posto. Fare questa performance è un modo per avere una profonda consapevolezza su questi temi e dinamiche. E’ un lavoro sulla lotta per stabilirsi in un paese e lo sforzo e le possibilità necessarie perché abbia successo.

 

 

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La performance è concepita per includere come partecipanti gli immigrati e i cittadini, per rappresentare una società multirazziale del nostro tempo e il problema dell’integrazione che i rifugiati devono affrontare quando arrivano in un altro paese.

 

All’inizio del gioco tutti ballano a tempo di musica. Quando la musica si ferma ciascuno dovrà sedersi su una sedia, ma ci sarà una sedia in meno dei partecipanti, per cui uno di loro sarà escluso. Il gioco continua fino a che tutti saranno esclusi e si ritroverà solo una persona, da sola, nella comunità. La performance finisce con un nuovo giro del gioco con tutti i partecipanti e con una sedia per ogni partecipante: quando la musica finisce ognuno potrà trovare la propria sedia, il proprio posto, e sentirsi a casa.

 

L’idea di questo lavoro nasce dal senso di frustrazione che proviamo quando vediamo la gente che lotta per avere i documenti necessari per poter stare in un paese, che non sono libere di trovare un lavoro onestamente e sono esclusi dalla comunità. Lo stesso senso di frustrazione viene ogni volta che ci sentiamo esclusi da un gruppo, siano essi amici, familiari, nel lavoro o in un paese.

 

 

 

148. La Seconda Performance Refugees Welcome a Berlino

Nonostante il periodo difficile, come scrissi nel post precedente ho accettato l’invito di un regista americano, Zachary Kerschberg, che mi chiese di tornare a Berlino per rifare la performance Refugees Welcome, alla quale lui aveva assistito a dicembre 2013, da inserire nel film che stava facendo.

 

Mi ha commosso quando mi ha detto che era al Kreuzberg Pavillon quel giorno di dicembre 2013 quando feci la performance collettiva invitando i rifugiati in galleria, e che quella è stata la cosa più commovente e speciale a cui lui aveva assistito in quella città, e voleva inserirla nel suo film. La sua telefonata è stata musica per le mie orecchie, in un momento della mia vita così doloroso e in cui ero così persa, senza fulcro, senza famiglia, senza appartenenza, e senza sapere cosa avrei fatto e dove avrei vissuto.

 

Così abbiamo fatto un accordo: io avrei rifatto la performance veramente (ossia l’avrei fatta in uno spazio e per un pubblico e non solo per le riprese del film) e lui poteva filmarla e in cambio mi dava le riprese dei suoi cameraman, da usare per il mio video, e mi avrebbe aiutato ad organizzare la complicata logistica della performance.

Poichè avevo in mente anche una nuova idea di performance collettiva da fare con i rifugiati e a lui e alla sua troupe piacque tantissimo, decidemmo che le avremmo fatte entrambe, e che mi avrebbero aiutato a produrre e organizzare il nuovo lavoro, oltre a farci le riprese.

 

Che meraviglia e che felicità! Un invito coi fiocchi e una troupe di ragazzi in gambissima con cui lavorare , l’onore di essere cercata perchè il mio lavoro li aveva colpiti, la possibilità di produrre un nuovo lavoro che era nella mia mente… tutto era un segnale perchè io tornassi a Berlino e direi come una coccola in quel lungo periodo di lutto e solitudine estrema che stavo passando.

 

Certamente non ero molto in forma quando arrivai là, nè molto allegra e in energia nei giorni in cui sono stata a Berlino, è come se tutto fosse più difficile nel mio stato e ho fatto moltissima fatica a lavorare e a concentrarmi, ma le due performance sono venute benissimo e con l’aiuto di Zach, Dominique e tutti gli altri hanno avuto una partecipazione altissima di rifugiati, ovviamente maggiore della prima volta quando andavo in giro per Berlino da sola a conoscere i rifugiati e ad ascoltare le loro storie (v. post 132, 133, 135), anche se abbiamo comunque lavorato sodo in tanti per contattare e coinvolgere i rifugiati che volevano partecipare a questa nuova performance, aiutati da alcuni rifugiati stessi.

 

Anche questa volta la performance la feci al Kreuzberg Pavillion di Berlino, poichè i galleristi, che avevano creduto moltissimo nel progetto quando l’avevo fatto la prima volta, accettarono molto volentieri di rifare una serata speciale solo per la performance.

Ed ecco alcune foto della nuova performance, e la presentazione.

 

LIUBA, REFUGEES WELCOME, Performance interattiva e collettiva con i rifugiati e il pubblico,  Kreuzberg Pavillon, Berlino 14/11/2014

 

 

Questo progetto ripropone a grande richiesta la performance effettuata da LIUBA l’anno scorso e sarà inclusa dal regista americano Zachary Kerschberg nel suo nuovo film documentario.

 

Il progetto è’ composto da due parti: la performance in galleria, e il precedente e lungo lavoro preparatorio site-specific, consistito nel prendere contatti con rifugiati in protesta a Berlino, nel conoscerli e ascoltare le loro storie e i loro problemi, per poi invitarli a partecipare alla performance in galleria che consiste in 12 simbolici minuti di silenzio in segno dei loro diritti e della loro accettazione.

 

Alcuni concetti che hanno portato LIUBA a questo lavoro:

 

Penso che le persone e i loro problemi siano più importanti dei progetti artistici.

Porto delle persone viventi in galleria perchè le persone, le loro vite e le loro problematiche sono ciò che veramente importa adesso.

Raduno insieme persone diverse in uno stesso luogo, perchè ciascuno ha il diritto di stare in quello stesso luogo.

Voglio che le persone stiano in silenzio, osservandosi l’un l’altro. Il pubblico della galleria e i rifugiati. Osservare è il primo passo per conoscere, accettare, rispettare.

Guardare l’altro significa trovare la base comune della nostra esistenza: essere vivi adesso.

Costruisco la performance col proposito di creare esperienze personali per le persone, interiori ed esteriori.

L’arte diventa un mezzo per dare ai rifugiati un modo per essere ascoltati, per essere visibili, per essere rispettati.

 

 

 

136. La performance Refugees Welcome e il crollo post performance

(post scritto come bozza in dicembre e pubblicato solo oggi, poichè ci sono stati gravi fatti familiari)

 

 

Sono stata davvero fortunata in questo mese a Berlino, non ha mai fatto molto freddo, così ho potuto liberamente uscire, incontrare persone, conoscere i rifugiati, ascoltare le loro storie, andare agli incontri su questo problema, eccetera, molto di ciò anche in bicicletta. Se c’era più freddo non ci sarei riuscita.
Però eccome se mi sono stancata: vai di qui, di là, parla, conosci, supera la timidezza, registra, pensa, scarica il materiale, scrivi email, ecc…

 

Sabato c’è stata la performance al Kreuzberg Pavillon, commovente, semplice, toccante, interattiva. Tre ragazzi africani, rifugiati e in protesta ad Oranien Platz hanno deciso di partecipare e si sono presentati in galleria. Un ready made umano. Una rosa di sguardi e sinergie. (leggi i post precedenti sul project in progress: 132, 133, 135-con video).

 

Ho chiesto al pubblico e a tutti i presenti in galleria, di fare 12 simbolici minuti di silenzio, per sintonizzarsi insieme e accogliere nello spazio della galleria i rifugiati, mettendo sullo stesso piano l’umanità di tutti.
Anche se il compito era semplice, per essere eseguita la performance ha implicato un lungo e anche stancante lavoro di conoscenza, relazione, contatto, con le persone, soprattutto coloro che sono sbarcati a Lampedusa, che hanno il problema dei loro diritti come rifugiati in Europa, e che stanno conducendo una pacifica protesta. Molti incontri, parole, scambi, energia, situazioni. Un arricchimento di vita. La performance risultante, la loro presenza in galleria, era solo la punta dell’iceberg visibile di un lungo processo di vita e relazioni.

 

(v. il progetto e il video della performance qui sul mio sito)

 

 

Il solito down post performance poi non l’ho potuto assaporare e assecondare in pieno perchè mi è stato chiesto di partecipare a una trasmissione televisiva di una TV privata con un intervista e un video. In realtà era una cosa che già sapevo, ma che doveva essere la settimana successiva, e a bruciapelo mi hanno chiesto di spostarla all’indomani. Ho accettato perchè sto imparando a usare il ferro quando è caldo, ma dovevo anche prepararmi un po’ ed ero molto agitata, proprio perchè ero stanca stanchissima delle fatiche di tutto il periodo preparatorio della performance.

 

Sono andata quindi domenica negli studi di questa TV a Wedding, e con mia grande agitazione ho scoperto che in questo talk show quel giorno ci sarei stata solo io come ospite….una incontrollata e inconscia insicurezza e paura si impossessò del mio respiro, e dovetti sudare 70 camice per imporre al mio fisico un po’ di non-scialance e tranquillità, appena appena sufficienti per permettermi di parlare dicendo cose sensate e senza balbettare (che poi essendo l’intervista in inglese, e pur parlando io abbastanza fluentemente, non è così facile dare risposte abili e brillanti in un’altra lingua in diretta televisiva…
Devo confessarvi che, insicura del risultato che è venuto fuori, non ho ancora avuto il coraggio di guardare il dvd della trasmissione che mi hanno regalato… 😉

 

E così, distrutta e liquefatta, dopo di ciò ho bassi-pressionato per circa per due giorni interi, amebizzando il tempo che non dormivo.

 

 

Ed ora eccovi qualche foto della performance “Refugees Welcome” fatta al Kreuzberg Pavillon di Berlino in dicembre 2013.

 

 

 

 

 

LIUBA, Refugees Welcome, performance and open letter, Kreuzberg Pavillon, Berlin Dec. 2013

 

 

 

AGGIORNAMENTO: Per maggiori notizie su questo progetto, che è poi continuato con altre performances e la realizzazione dei relativi video, vedi la pagina dedicata sul sito, nonchè le tante recensioni.

 

135. Ancora sui rifugiati, Berlino e video

In questi giorni continuo a contattare i rifugiati (molti parlano italiano poichè sono sbarcati a Lampedusa e sono stati lì per parecchi mesi). Storie, emozioni, incontri, persone.

Qui di seguito condivido con voi alcuni stralci del diario di bordo in inglese che sto scrivendo. Quando riuscirò, ho intenzione di mandare alcuni stralci di riprese delle dichiarazioni dei rifugiati e delle loro storie (chi accetta di parlarne) diffondendole per il web e pure per i siti informativi, poichè credo che, in Italia sicuramente, non ci sia abbastanza informazione su ciò che sta succedendo, e di come questa questione sollevi problemi ben più ampi, che la comunità europea e la comunità umana devono risolvere: come accogliere profughi che scappano da cattive condizioni nel loro paese? come accogliere chi deve fuggire per una guerra? (mi domando che ne sarebbe stato di Duchamp, di Man Ray, di tutta una parte dell’avanguardia che è fuggita in America durante le guerre mondiali in Europa…e se non fossero stati accolti? quanta  ricchezza in meno per la nostra storia e la nostra cultura!)

Come garantire a tutti la propria dignità? e l’uguaglianza? Tutte queste questioni urgono di trovare una soluzione, o quantomeno di essere discusse, per questo che anche il ruolo di informazione acquisisce importanza, e anche di informazione poetica, per coinvolgere le sensibilità delle persone.

 

 

 

Logisticamente sono molto fortunata: per mia gioia anche se è Dicembre non fa assolutamente freddo, ci sono 7-8 gradi, è grigio e piove un po’, e mi piace questo tempo, mi sento perfettamente a casa, è quello che di solito caratterizza i nostri inverni nel Nord Italia. In più sto abitando in una casa perfetta, a Kreuzberg-Friedrichshan, vicino alla maggioranza dei posti dove devo andare, e pure davanti a un bel parco dove, sempre grazie a un clima accettabile, vado a volte – non sono una fanatica – a correre. Così riesco a prendere la bicicletta e mi muovo per Berlino come i Berlinesi. Ah, con la casa ho ricevuto anche la bici! 🙂 Al freddo sottozero non mi abituerò mai, ogni volta mi sento a disagio, ingoffata dai vestiti, impossibilitata a vestirmi come mi pare (di solito mi vesto da marziano mettendo su tutto ciò di pesante che posso avere, strato dopo strato..!), quasi paralizzata nei movimenti, e anche un po’ nervosa…Per ora quindi mi ritengo fortunata che in questo mese a Berlino non si è mai andati sottozero se non qualche giorno fa, che poi ha anche leggermente nevicato, ma è sparito subito. Altrimenti non so come avrei fatto a seguire tutte le conferenze sul problema dei refugees che sto seguendo, e ad andare ogni giorno a parlare con le persone…

 

Fra pochi giorni ci sarà la performance dove invece di fare una mia azione ho invitato i rifugiati a venire in galleria, e non posso indugiare!

 

Ed ecco la continuazione della cronaca dei miei contatti coi rifugiati (v. post precedente 1 e post precedente 2 per le prime puntate)

 


5. Saturday, December 7, 2013

 

I went at the tent at 3.30pm. I had an appointment with some refugees people, for going to see the gallery (that opens only on Saturdays) where we were supposed to make the participative performance piece. I met people and I talked with people, mostly in front of the camp fire (afterwards I was smelling like the smoked scamorza cheese..).Then 3 of us went to the gallery.
After that I met an italian architect, Manuela, living in Berlin since 13 years wishing to help me with the project. I am having a lot of encouragement and helping by friends in all the world, many of whom put me in contact with some of their friends living in Berlin. Manuela and I decide that she would have come with me on Monday to the occupied school, to meet more people.
 
6. Sunday, December 8, 2013

 

I had to prepare, in 1 hour and among previous Sunday friends visits already programmed, a short video of me talking about the refugees project for a political Performance Art Symposium in Belgrade. I wanted to send them a video of a previous and already finished work, but they were so interested about this issue, that they asked me just to share what’s going on with the audience in Belgrade. I prepared a short video. Even if it could be simple, preparing a short video is not so easy and fast, but it was fun. I was at Waltraud’s studio, a German artist friend, and she helped me gladly with location, scenography and recordings.

 

Here’s the video:

 

 

 

 

6. Monday, December 9, 2013

 

I went to she occupied school with Manuela. It was dark because we went there after her job, at 5.30 (here in winter sun sets down around 4pm…). 
I looked for Turgai, the Turkish activist who is living there. He invited us to a panel discussion occurring in an occupied part of the Betanja building in a couple of hours. Then we met people in the school and we talked with two guys very nice, telling us their stories coming from Africa to Lampedusa and then being in Berlin. There were reggae music on their phones. Everything was friendly. I was with them. I asked them recording their stories with the camera, but they didn’t want. They were interested in participating to the performance and being at the gallery. I wrote the address on a little paper. Everybody is intimidate by the camera, so I never use it, neither I show it. But everybody is ok with audio, so I often record our voices while talking. We went to the activist meeting at the Betanja occupied section, invited by Turgai. They had a conference explaining the process of the protest and the next steps. They showed interesting videos. I had the permission to film. We also met some of the more active refugees leaders of the group. I could talk easily with them of the idea of the performance action for their respect, voice and rights. Maybe some of them will come. As usual I don’t know. I really want to help. They’ll decide what is best for them.

132. Ho cominciato ad andare al campo profughi di Oranienplatz

Appena arrivata a Berlino ho captato subito che il problema di maggior portata e coinvolgimento era quello dei rifugiati che richiedono asilo (molti di loro provenienti dallo sbarco a Lampedusa), della loro protesta, della problematica di queste persone, del rapporto fra le migrazioni, gli stati e la libertà. E’ un problema che mi sta a cuore (e non solo per esperienze personali) e che mi interessa enormemente approfondire, perlustrando il lato umano delle storie di queste persone migranti, e il lato sociale-antropologico che questi problemi comportano.

 

Quando sono stata invitata a presentare una performance il 14 dicembre in una galleria di Berlino, il Kreutzberg Pavillon, ho deciso che invece di presentare uno dei miei tanti progetti pronti e performance già effettuate, farò un lavoro sul territorio e darò il mio ‘spazio performativo‘ alle persone rifugiate che lottano per i loro diritti. Voglio coinvolgere queste persone a venire con me in galleria standing for their rights e, semplicemente, stare in silenzio, e guardarsi e accettarsi con le persone presenti. Tutti in uno stesso luogo, e tutti con lo stesso ‘diritto’ di esserci.

 

Mi interessa sempre la vita più dell’arte, e non mi interessa ora presentare una mia ‘opera’ ma dare attenzione a questo problema e queste persone. Potrei definirla un’operazione duchampiana animata: portare la vita quotidiana in galleria, portando le persone e la lotta per i loro problemi, perchè siano ‘viste’, conosciute e quindi rispettate.

(v. Refugees Project)

 

 

Ebbene, questo progetto, essenziale e forte al tempo stesso, semplice da dire, non è assolutamente semplice da fare. Ero già andata a un meeting con persone e attivisti di vario tipo focalizzato sul problema dei rifugiati, e avevo qualche contatto, ma conoscere alcuni immigrati e portarli in galleria non è cosa affatto semplice (e ho solo circa 10 giorni..).

Ricordo la fatica che feci per il progetto The Finger and the Moon #3 che richiese moltissimi mesi per contattare le persone delle diverse comunità religiose in Genova, e fare in modo che gli interessati venissero alla performance (e ne vennero 12, di fedi assortite, che fu già un successo, e la performance fu un momento sublime, per tutti – partecipanti e pubblico -unico, che ora sto cristallizzando in maniera universale in un video…), e fu un lavoro di relazioni, amicizie, comunicazione ed empatia umana di grande proporzioni. Ora si tratta di fare lo stesso… solo con molto meno tempo.

 

Ieri quindi sono andata in Oranienplatz, dove c’è una tendopoli come presidio di protesta, e con 100 persone che ci vivono da un anno (supportati anche dalla città e dai volontari che garantiscono pasti caldi giornalieri per tutti), a conoscere qualche persona…

 

Questa che vedete non è una mia foto, poichè mi impedirono di fare delle foto, l’ho presa dal web.

Ora vi racconto cosa è successo ieri, l’ho scritto in inglese poichè è parte del processo del lavoro.

 

1.

Today i went to the Oranien Platz Refugees Camp with the purpose of talking with some of them and of inviting them to perform with me standing symbolically into the gallery space with the idea of giving them ‘my performance space’ for their rights and respect.

As i was approaching to Oranien Platz I decided to turn on my small hd camera to self-filming my arrive to the camp place.

I just shot a few minutes of video while walking arriving there, when i was surrounded by suspicious and angry refugees activists from Africa shouting against me that i was stolen images. We talked, aggressively, for 10 min telling them my purpose to ‘work for them’ giving them my performance space and so on. I also had to explain them my personal experience with foreigners laws and extra-communitaire experiences having with my husband being Canadian. They slow down after a while but they pretended i deleted my short shootings. They didn’t accept that shootings done before meeting them (none of them was in the recording. Only the square and me..).
I finally deleted it in front of their eyes. In this way i was accepted to come after lunch to talk with them.
I went away, sort of confused and touched.
I took a few recordings of the place camp from a far away street later on and from a cafe on the other side of the square.

 

 

2.

I went back at the camp after lunch. I met friendly people who talked to me about their stories. I talked expecially with two guys, one coming from Algeria, the other from Giamaica (escaping from Mexico). The first one had been living and working in Spain for over 5 years (saying it was very nice for him staying there) but then the 2012 crysis arrived and he had to go away. He moved to Italy, where he found the same situation..no work (yes, we know it…). Then he went to Germany, and the only thing he asks is the right to work. The other guy is from Giamaica, and after having lived and studied in United States he escaped from Mexico for some personal problems and asked asylum in Germany, haven’t got it.

Both of them liked very much the idea of getting attention on their problems coming to the Art Gallery on saturday 14 with me. Let’s see if they will come. I never know what is gonna happen.

 

Tomorrow I will go back here again. I also met a young marocco filmaker who is here to make a documentary, with the refugees permission, about their struggle.

I didn’t take shootings neither asked for it. I was afraid they could be reluctant and they won’t like anymore to talk with me. I thought that I have to do things step by step, and first get their confidence. I really want to help their cause.




129. Arrivo a Berlino per un po’

Dico ‘arrivo a Berlino per un po’ perchè ancora non so quanto ci voglio stare. Sicuramente non poco, ma la mobilità e l’elasticità mi appartengono così tanto che ormai mi ci sono abituata e diventano un’esigenza.
Qualcuno di voi penserà che io sia miliardaria a muovermi sempre così, invece no, e lo faccio per esistere, per sopravvivere, e per fare l’artista sempre nel migliore dei modi, ma prima di tutto per vivere. E’ da quando ho 18 anni che sono abituata a viaggiare, e da subito imparai come si fa a viaggiare stando bene e spendendo meno di quando si è a casa propria, così negli anni ho affinato una rete di scambi case, ospitalità, subaffitti, sharing e quant’altro, che mi rendono possibile muovermi con facilità e potermelo permettere… (potrei tenere dei corsi in merito: come muoversi nel mondo sentendosi a casa propria e poterselo permettere: qualcuno è interessato?)

 

Ed eccomi qui, in quella che ritengo essere ora il fulcro d’Europa, e una delle città più internazionali e creative dei nostri tempi. Si sente subito l’energia, e già questo mi fa bene. Ho molti difetti, ma una dote che non mi manca è quella di non subire troppo le cose, di reagire e di avere coraggio: per cui mi sono detta ancora una volta che se stavo in Italia ancora un po’ mi trovavo depressa come un cioccolatino sciolto, e così ho chiuso baracca e burattini, come si dice, ma avendo l’accortezza di avere tutti i salvagenti possibili al mio ritorno (questo è un altro segreto del viaggiare bene e del potersi muovere) e sono partita.

 

 

Quando ci si muove spesso, e quando si fanno mostre in diverse parti del mondo, ti capita sempre di avere conoscenti o addirittura amici in diverse parti del mondo (o direi meglio, in diverse parti strategiche del mondo) e quando sono in un posto mi vengono sempre in mente le persone connesse con quel luogo, o a volte ne sono in contatto ancor prima.

 

Vi dico già che sono stata felice sino alle lacrime di rivedere Gaby, la flautista tedesca con cui feci una delle mie prime performance nel 1993 (La Margherita dai petali colorati al Centro Masaorita) a Bologna: erano 20 – oddio 20! – anni che non ci vedevamo, e in questi vent’anni lei ha continuato a fare la musicista ed io ho continuato a fare l’artista, entrambe siamo un po’ invecchiate, ma sempre gli stessi sogni e la stessa passione ci abitano, e tutto ciò mi rimbombava nel cuore quando ho sentito un suo concerto l’altra sera al Shoneberg Rathaus, donandomi emozioni forte e tanta felicità di stare al mondo e forse tanta nostalgia delle cose che passano, che girano, ma che poi restano e si ritrovano. Se sapessi in anticipo dove andrebbe proposto, mi piacerebbe rifare con Gaby la performance della margherita dai petali colorati che avevamo preparato insieme a Bologna tanti anni fa!

Gaby Bultmann e LIUBA durante la performance “La Margherita dai petali colorati”, Bologna 1993

 

Ho cominciato qui a Berlino, come faccio di solito quando arrivo in una città straniera, ad essere ospitata da qualche servas, poichè mi piace la situazione di sentirmi accolta, a casa, e di conoscere le vite di queste persone sempre interessanti che fanno parte del circuito mondiale di servas, è un modo per sentirsi subito a casa nella città in cui vai. Per una logistica varia ho passato solo la mia seconda notte in un ostello, e pur avendo una camerata tutta per me, mi sentivo un po’ sola e triste, sensazioni che sono sparite subito quando il giorno dopo sono andata nella bella e accogliente casa di Eva a Charlottemburg, che mi aspettava con gioia e disponibilità. Whau!

 

Che devo dire? In due settimane ho rivisto parecchi amici artisti, conosciuti molti di nuovi, visto mostre, lavorato al video (non ancora finito ma ci manca poco, haugh!), alle mail, ho avuto l’invito per una performance, mi è stata offerta una casa in subaffitto a Kreuzberg, davanti a un parco (anche se freddino, sono andata a fare footing – abitudine cominciata l’inverno scorso a milano grazie a Mario) per alcune settimane….ma grazie Berlino per la bella accoglienza!
Bisogna ripeterselo sempre: farsi un sogno, un progetto, un obiettivo, e poi indirizzarsi verso la strada…la vita ti farà incontrare abbondantemente ciò che hai seminato….

 

Non so cosa succederà qui ancora, so solo che mi sento bene, che sono felice, e che sto imparando. C’è ancora molta strada da fare per continuare i propri sogni, e il lavoro si prospetta lungo, ma affascinante. E, nota bene, i miei sogni non riguardano Berlino in sè, riguardano l’amore, l’arte, la vita, la felicità, come i sogni di molti altri uomini (beh, forse il sogno dell’arte non ce l’hanno proprio tutti! – e a volte sarebbe anche un po’ più facile non averlo ! ;), ma per me ciò si identifica con la vita, con l’amore, con la mia vita. Bon, e adesso basta paroloni, mi preparo ad uscire che vado a un opening, dove mi vedo con vari amici.
(Ultima considerazione: ciò che mi fa sentire bene in ogni luogo è fare la stessa vita in ogni parte del mondo: sia io a new york, a berlino, a milano, o a rimini, come imposto la mia giornata, ciò che faccio è sempre simile, perchè in questo sono fortunata, lavorando col corpo, col computer e col territorio posso lavorare in ogni luogo! (diverso è capire quando si è pagati per ciò, ma questo fa parte dell’instabilità di essere artisti, e se ciò non ti va bene è tanto che avresti già smesso – comunque sono qui a Berlino anche per vedere di incrementare, se è possibile, l’aspetto economico di tutta la faccenda…).

 

la torre di alexander plaz vista dalla chiesa di marienkirche

 
Un ultimo inciso: e gli affetti, vi chiederete? (domanda da 300 milioni di dollari, che non sarebbe da inciso): è proprio per questo motivo che mi muovo molto, perchè desidero fare molte vite, e poter vivere insieme a chi amo, quando è possibile, e andare dove voglio andare, quando è possibile. Andare e tornare, questo è il mio motto. E poi a volte, pur mancandosi, l’amore a distanza riempie i cuori più di quello accanto al materasso….)

45. Viaggio a Berlino e performance

Dopo Bremen siamo partiti per Berlino.
Dico ‘siamo’ perché nel frattempo a Brema era arrivato anche Mario che mi ha raggiunto lì arrivando direttamente da Montreal e con l’idea di stare prossimamente in Italia. Era da alcuni mesi che non ci vedevamo perché dopo che finalmente avevamo passato un week-end bellissimo a New York per il mio compleanno, lui era partito per il grande Nord a fare un lavoro in mezzo agli Inuit a 2000 km nord di Montreal a 50 sottozero (ed io ero rimasta a New York ovviamente … ).
Anzi, se devo essere onesta, questa alternanza di lontananza e vicinanza a me ha fatto molto bene, e credo anche a lui,  perché ti senti al tempo stesso libera e legata a qualcuno, e inoltre mi sono dedicata intensamente e totalmente all’arte in quei mesi, e quando lo faccio mi sento bene come un papa. (Mi sembra quasi preoccupante: più vado avanti, più mi diverto a fare sempre arte e sto bene solo così! … ).
Non vi sto ora a parlare di me e di Mario, però devo confessarvi che ero piuttosto tesa quando ci siamo rivisti a Brema, perché l’ultima cosa che volevo era ricominciare a litigare, e non potevo nemmeno permettermelo, visto che ero lì per fare una mostra e una performance che erano molto importanti, e soprattutto per la performance live è impossibile per me farla bene se ho della tensione o del nervosismo …
Fortunatamente però è andato tutto bene … abbiamo cominciato a litigare soltanto a Berlino! 😀

 

Dunque, dicevamo, siamo partiti martedì in treno da Brema per Berlino, dove ci aspettava una simpatica famiglia di Servas dalla quale saremmo stati ospitati (vi ricordate che vi avevo parlato di Servas qualche post fa? http://liubadiary.blogspot.com/2011/05/41-on-road-again-hamburg-may-2011.html)
Loro si chiamano Mirko, Susanne e Rebekka, e li saluto e li ringrazio per il caloroso welcoming nella loro bella casa (per la prima volta ho dormito su un materasso ad acqua … e mi è piaciuto molto!).

 

Ero stata a Berlino giovanissima nel ’90, pochi mesi dopo la caduta del muro, ed ero stata impressionata dall’energia di sofferenza e di dolore che vi avevo respirato, percepivo la ferita che aveva tagliato la città e il dolore che era stato patito, e al tempo stesso sentivo le ribellioni di tutti quelli che si radunavano a Berlino come simbolo di lotta e resistenza … Ero stata magnetizzata da quella città, respiravo tensioni forti che mi facevano sentire viva, seppur in maniera tragica ( e a quel tempo ero piuttosto tragica … e malinconica, poi sono diventata, crescendo, più ironica e solare, che è la mia natura più vera).
Poi ero ritornata a Berlino una decina di anni fa, la città era totalmente cambiata, e seppur rimasi solo un paio di giorni per una mostra visitai le nuove opere architettoniche della ricostruzione, come il Sony Center in Postdamer Platz, il nuovo Reichstag, e rimasi affascinata da questo ricostruire e da questo rinascere.

 

Ma questa volta ho trovato una città totalmente trasformata , una città che è come se avesse rimarginato le ferite e quasi come se si fosse scordata di ciò che successe (anche perché ormai le nuove generazioni sono nate in una città libera e senza muro, e lo conoscono solo dalle storie, molto diverso invece averlo vissuto!).
Ho trovato una Berlino vitalissima, e questo lo sapevo e me lo aspettavo, ma anche una Berlino completamente piena di speranza, che risorge e rinasce e che emana contentezza e movimento da tutti i pori, come invece nel ’90 emanava sofferenza e depressione da ogni poro. E la mia felicità è stata grande nel sentire questo cambiamento attuato e questa speranza diventare certezza e questa città risorgere dalle ceneri totalmente.

Anche questa volta il mio stare a Berlino è stato di pochi gorni, per cui non ho girato tanto, ma è stato importante assaporare tutte queste sensazioni (e girare in barca sul fiume inondato di luce).

 

Ero a Berlino anche per partecipare a un festival di performance concepito come un lab dove artisti di varie parti del mondo interagivano tra loro e si scambiavano stimoli sul lavoro. E’ stato tutto preparato velocemente, ed io ho scelto una semplice azione performativa (presa dal mio precedente ‘Side by Side’) basata sul dualismo urlo-quiete e ho lavorato facendo interagire la mia performance con la performance di due artisti tedeschi: Albrecht e Utte.
Il Festival, che si chiamava Hunger Festival, era organizzato in diverse locations di Berlino per alcuni week-ends. Quando ci sono stata io si è tenuto a BLO atelier, un luogo molto affascinante, che era un deposito di treni dell’ ex Berlino Est. Un grande parco (e quel giorno migliaia di pollini fluttuavano come neve), alberi, fabbricati, depositi di treni in disuso, formavano una cornice interessante e stimolante, molto underground e molto berlinese. Devo dire che, avendo passato moltissimi anni ai miei inizi bolognesi in ambienti alternativi e underground, ora li sento un po’ passati per me, ma pur sempre ricchi e stimolanti.

 

Vi allego qui alcune foto della performance che abbiamo fatto come risultato del lab.

photos:  Luz Scherwinski