202. I video integrali della trilogia di Virus

In questo periodo di quarantena continuo con la pubblicazione online di mie opere video integrali, realizzate in anni precedenti, ma in tema con la situazione in cui stiamo vivendo. E’ ora la volta della trilogia di Virus.

 

Parola chiave del momento, la serie di lavori VIRUS, iniziata nel 2004, rende concreti e visibili, in maniera provocatoria e ironica, i meccanismi sociali e individuali della bulimia dell’acquisto e della mercificazione del mercato, che si avverte non solo nel mondo dell’arte ma anche nella vita quotidiana – concetti che la recente situazione ci sta costringendo a ripensare.

Il primo video della serie è tratto dalla performance realizzata all’Opening di Arte Fiera a Bologna nel 2004.

 

 

 

Virus, 2004 from LIUBA on Vimeo.

 

Dopo la performance Virus ad Artefiera a Bologna nel 2004, nel 2005 sono stata invitata dalla Galleria Weisspollack di New York, con cui allora collaboravo, a portare quel lavoro al Sofa Fair a Manhattan, facendo una nuova performance ed esponendo la videoinstallazione col video Virus.

La performance Virus New York ha avuto esiti completamente differenti da quella realizzata a Bologna, e implicazioni aggiuntive, ben visibili nella videoinstallazione che mette a confronto i due relativi video, mostrata l’anno successivo nella mia personale a New York da Weisspollack Galleries (e curata da Irina Zucca Alessandrelli).

 

A New York la performance ha portato stupore, allegria, curiosità e rifiuto… reazioni divertite, complici ed entusiaste, ma anche galleristi arrabbiati, confusi, terrorizzati di non vendere. La performance infine è stata interrotta dallo Show Management e sono stata espulsa dalla fiera.

Il video inizia a ritroso con questa espulsione (le riprese erano proibite e sono state fatte di nascosto dalla mia fedele cameraman), che rende sempre più sottile e ambiguo il confine tra realtà e performance, e col paradossale dialogo sull’onnipotenza del dio-vendita e del dio-denaro negli Stati Uniti.

 

 

LIUBA, Virus New York, 2005 from LIUBA on Vimeo.

 

 

Virus Tableaux Vivant è stato invece realizzato al Flash Art Fair a Milano, con la collaborazione della galleria Placentia Arte. Il lavoro utilizza il bagno, la vasca, l’idea di spiare o introdursi nello spazio privato. Questa volta il virus dell’acquisto si è sparso contagiando tutto l’ambiente e il mio corpo di donna, ironico simulacro di una vendita e di un acquisto sulla persona, sul/del corpo femminile.
Tanti sono i virus che galleggiano invisibili nell’aria…

 

 

LIUBA, Virus Tableaux vivant, 2004 from LIUBA on Vimeo.

 

 

More info sul progetto VIRUS

 

 

 

 

 

 

 

67. Welcome back in New York

Mentre tutto o quasi tutto il mondo dell’arte italiano si sta dirigendo a Bologna ad Arte Fiera, io sono partita per New York (e Canada). Ho preso il mio bel volo e sono planata sul JFK alle due del pomeriggio di ieri, 25 gennaio, allegra come il sole che mi ha seguito dalla partenza sulle alpi all’arrivo in città.

 

Sono stata volentieri in Italia per questi ultimi mesi, anche perché sto lavorando ad alcuni progetti molto interessanti, da attuare in Italia dalla primavera inoltrata in poi, inoltre ho cominciato a collaborare con altre persone e con assistenti, per cui sono stati mesi utili e soddisfacenti, ma respirare l’atmosfera italiana senza deprimersi troppo non è tanto facile, e il bisogno di ritornare a New York è un fatto imprescindibile per me, per continuare a fare l’artista e soprattutto per credere nei propri sogni.

 

Anche il tassista a Milano, mentre mi portava alla fermata del bus per Malpensa, mi disse con voce depressa: sì, fugga fugga dall’Italia, che qui va tutto a rotoli … Questa frase mi ha colpito, perché è indicativa della percezione che tutti gli italiani hanno in questo momento della realtà in cui stiamo vivendo. *

Io non sono partita per New York ora per fuggire da questa morsa italiana, ma l’ho fatto già da parecchi anni, quando nel 2005 sono venuta a New York poiché in Italia trovavo difficile proseguire nel mio lavoro con soddisfazione. Ora tutti si lamentano che c’è la crisi, la crisi, ma da quando io ho cominciato a fare l’artista (e, udite udite, nel 2012 sono vent’anni dalla mia prima performance! – vi scriverò meglio in seguito di questo) ho sempre trovato la situazione italiana molto stemprante, dove chi vuole fare l’artista deve lottare col sangue e coi denti per poter continuare e per ricevere dignità e rispetto del proprio lavoro.

 

Quando avevo messo il naso a New York nel 2005 per la prima volta, avevo già provato e rigirato in lungo e in largo la situazione italiana, e se anche avevo fatto cose soddifacenti e a volte prestigiose, le difficoltà che ti rimbalzano contro, e il muro di gomma che impedisce alle cose di attuarsi, erano così forti e implacabili che avevo deciso di non rimanere lì a guardare i miei entusiasmi sparire e le mie energie affievolirsi per combattere contro i mulini a vento. E quel viaggio, deciso in poche settimane (allora avevo deciso di andare a Berlino ed ero anche già d’accordo con una stanza da affittare, poi improvvisamente presi una palla al balzo per andare a New York), mi ha aperto un mondo e una serie di collaborazioni, progetti, continui viaggi, avventure, fatiche ed entusiasmi (potete sempre vedere il diario New York per gli inizi, e alcuni post dell’anno scorso di questo blog) che continua ancor ora, anche se so bene che a volte New York è una città dura e competitiva, ma sempre irresistibilmente propositiva e vitale.

 

Quindi, non sono andata via ora perché fuggo dall’Italia (tra l’altro io vado e poi torno, e poi vado e poi torno, in un esercizio di altalena tra i luoghi e tra le vite che è un po’ complicato ma di un fascino assoluto per uno che ha un carattere come il mio), ma è sacrosanto dire che non vedevo l’ora di andarmene e di respirare nuova aria. E, devo ammettere, non mi manca affatto la Bologna di Arte Fiera, mentre invece c’erano anni che diventavo fibrillante di impazienza di andare a Bologna già settimane prima dell’evento (per non parlare di tutti gli anni in cui ho abitato a Bologna e amato quella città, e durante Arte Fiera avevo sempre qualche mostra o qualche performance da qualche parte, e un calendario fittissimo di cose da vedere).
Beh, ora però vi voglio descrivere la giornata di ieri, che è stata straordinaria, perché, complice il fuso orario e la differenza di 6 ore dall’Italia,  ho vissuto una giornata lunghissima vivendo situazioni in due posti da una parte all’altra dell’Oceano, che mi ha fatto sentire quasi un po’ ubiqua – oltre che in uno stato di ebbrezza esilarante, e in leggera confusione.

Dunque: sveglia alle 6, ora italiana, per sistemare le ultime cose, vestirmi e uscire in tempo per arrivare in taxi alla fermata del bus per Malpensa. Tutto scorre fluido e in sincronia perfetta (al contrario del viaggio per Miami dove già a cominciare dal taxi tutte le combinazioni andarono storte), arrivo in aeroporto e magicamente appare un trolley per issare le mie due valigie e faccio il check in in modo rilassatissimo. Ho detto ‘appare un trolley’ perché a Malpensa non sai mai dove sono i carrelli, ma questa volta c’era uno straniero ad aspettare il bus offrendo i carrelli in cambio di una mancia, ed io ho molto apprezzato questo modo di rendersi utili e di guadagnare i soldi. Inoltre avevo già programmato che quando sarei arrivata a New York volevo assolutamente andare a sentire un talk sulla performance alla Location One di Soho, e volevo fare un viaggio non totalmente distruttivo per non crollare come una pera al mio arrivo.

 

Quindi salgo sull’aereo, con un magnifico sole, e mi vedo tutte le Alpi dall’alto, e ogni volta che volo mi emoziono un sacco per la meraviglia di vedere il mondo dall’alto e carpirne la sua morfologia … Riesco pure a dormire un po’, mi guardo un paio di bei film e dopo 9 ore di volo – bello avere il volo diretto! – atterriamo a New York. Lì occorre una bella dose di pazienza e di tempo (almeno 1 ora e mezza) per la fila alla dogana appena sbarcati, e in un paio d’ore riesco ad uscire dall’areoporto e dirigermi alla casa della mia ospite in Carmine street. Erano le 16 ora americana, le 22 ora italiana, ero un po’ stanca di tutto il viaggio, però sapevo che c’era questa conferenza importante che volevo vedere, e così mi sono fatta dei bei respiri e mi sono immersa nella mela. Arrivo a casa nel west village, chiacchiero con la mia ospite in italiano, perché lei adora l’Italia e desidera praticare l’italiano, e poi esco a piedi verso Soho, Location One, assaporando gli angoli le strade e i negozi di un quartiere che conosco benissimo, perché tra una coincidenza e l’altra, sono quasi sempre stata ad abitare da queste parti quando vengo a New York.

La conferenza era super interessante, proprio sulla performance art e il concetto di contemporaneità, c’erano alcuni artisti e curatori a parlare, tra cui Joan Jonas. E, colmo del benvenuto, la mia amica Marie mi ha raggiunto lì e ho assistito alla conferenza in compagnia, sentendomi accolta e a casa. Dulcis in fundo, invece di prendere un taxi per tornare a casa, come avevo programmato immaginando di essere cottissima, io e Marie ci incamminiamo verso Spring Street per le vie di Soho e poi a questo punto proseguo a piedi verso Carmine street, comprandomi alcune cosette da mangiare in vari negozietti aperti. Alle 10 di sera, ora americana, 4 del mattino ora italiana, mi metto a letto stanca, serena, grata, per dormire naturalmente come un sasso un meritato riposo.

 

Welcome back to New York!

 

 

* AGGIORNAMENTO:
Quelli erano i decenni di Berlusconi e delle veline, nonchè pure della crisi, mentre in seguito la situazione in Italia, a mio avviso, è piuttosto migliorata ed ora stare qui è una delle scelte migliori da fare (almeno per me).