206. Day Trip alla Biennale

Oggi in visita alla Biennale… La prima gita di un giorno che faccio da sola da quando è nato Sole! Una scappata in giornata a Venezia, con le camminate, l’arte, i treni, e un po’ di tempo tutto per me… Penso proprio che me lo meritavo!
E’ la prima volta che vado dopo l’Opening, e una delle poche volte che non ho fatto una performance!

 

Che dire della Biennale? Avevo letto tantissimo, a suo tempo nei giorni dell’opening, sulla mostra della Alemanni e sul Padiglione Italia, e non e’ che mi aspettassi grandi cose, ma volevo vedere coi miei occhi, e anche volevo lasciarmi andare al fascino e alle emozioni di guardare l’arte quando funziona.

 

Fra ciò che mi e’ piaciuto di più, e che ho trovato di una grande poesia e di un grande interesse sociologico, antropologico ed estetico, e’ la serie dei Children Games di Francis Alys, al Padiglione del Belgio. Una serie di video su bambini mentre giocano, in diverse parti del mondo. Sarà perché in questo periodo sono sensibile a questo argomento e direttamente interessata, ma L universalità del gioco, il bisogno di divertirsi e di apprendere e di socializzare, le diversità geografiche e territoriali, la bellezza anche estetica di questi video, rendono questa plurima installazione qualcosa di davvero emozionante e davvero riuscito. Un progetto grande, in progress, bellissimo.
Interessante anche il Padiglione di Malta, all’Arsenale, che stimola connessioni sulla disfunzionalità del potere intrecciando Caravaggio, S.Giovanni Battista e la nostra epoca attuale, attraverso una suggestiva installazione di scintille di acciaio rovente che cola in bacini di acqua scura, farfalle di luce, ben più potenti ed eloquenti delle sparute ‘lucciole’ di Tosatti al Padiglione Italia. Che poi secondo il testo critico queste lucciole di Tosatti dovevano essere un centinaio, mentre io ne ho viste solo 4 o 5…
No, come a molti, il Padiglione Italia non mi e’ piaciuto, in primissima ragione perché mi sembra un delitto sprecare tutto questo ben di Dio di spazio installativo per metterci dentro ruderi industriali, un ciclopico ready made che non serve a nessuno. L’installazione delle lucciole sull’acqua ( se ce ne fossero state di più) potrebbe avere il suo fascino, ma davvero un po’ banale questo buonismo di redenzione luminosa nel buio dello sfruttamento. Mi è sembrato uno sforzo, tutto il Padiglione, piuttosto inutile, sia per chi l ha fatta che per chi la vede.
La mostra curatoriale di Cecilia Alemanni, seppur posso aver apprezzato una certa coerenza, mi ha dopo un po’ quasi infastidito per l’ abbondanza direi maniacale di opere esposte. Ai giardini un accumulo dietro l’altro, e pure all’Arsenale, dove c’è una spazialità sublime che permette di giocare spazialmente in ogni modo. Dopo la parte iniziale, che mi sembrava interessante e armonica, si assiste dopo un po’ a un accumulo quasi ossessivo di opere ( e di cianfrusaglie, diciamolo), che mi ha davvero infastidito alla fine. Ho persino pensato che non vorrei abitare per nulla al mondo nella casa della Alemanni, chissà quante cose accumula e come e’ piena di roba! ( e lo dice una come me che comunque non riesce a buttare niente!).
A mio avviso ci doveva essere solo UN QUINTO di ciò che era esposto, per dare un po’ di aria e un po’ di senso ( ma ci siamo scordati del valore del silenzio e, tradotto visivamente, del vuoto?).
Comunque mi rendo perfettamente conto che non è affatto facile fare una mostra in cotanto spazio e con così tanta visibilità, e ho sicuramente apprezzato opere di alcune artiste, note e meno note, e sono stata contenta di vederle e di apprezzarle, come i lavori della Trokel con la lavorazione a maglia e la lana, e ho anche visto qualche video interessante, fra i pochi che c erano. Ma mi chiedo anche perche questa ossessione per artisti africani, sudamericani, ecc ecc sembra quasi una posizione snob, per carità un europeo o un occidentale e’ così banale! E perché dare così preponderanza al lavoro delle donne, quasi sia un mondo minore che adesso lei vuole tirare fuori? No non sono d accordo neanche con questo: in una biennale bisogna vedere grandi opere e lavori entusiasmanti, di donne o uomini o trans che siano. Tutto il falso femminismo non mi interessa, pur essendo io donna.
Non so, sono troppo dura? E voi cosa ne pensate?

 

Ultimo pensierino mentre stavo uscendo dall’Arsenale, osservando con felicità la quantità di visitatori che c’erano anche in un giorno feriale di un giorno qualsiasi dopo più di 5 mesi dall’apertura, e anche molti studenti: ma tutte le entrate stratosferiche che entrano nelle casse della biennale sono devolute un po’ anche agli artisti che espongono, che costruiscono e permettono la mostra? A parte casi famosi ne dubito. Bisogna cominciare ad esigere, a livello mondiale, che ogni artista che partecipa a una mostra internazionale sia pagato per esporre il suo lavoro. Senza se e senza ma.
Francis Alys, Children Games, particolare di un video dell’installazione, Padiglione del Belgio, Biennale 2022

 

Molto belle anche le grandi sculture tondeggianti di Simone Leigh, al Padiglione Usa, nonchè all’ingresso dell’Arsenale nella mostra curatoriale.

 

una poetica fotografia dell’artista polacca Aneta Grzeszykowska, che ha realizzato una serie di lavori dove sua figlia interagisce con un manichino con la forma e il volto della madre, l’artista stessa. Opere cariche di suggestioni, pensieri ed emozioni.