211. Invito, preparazione e opening della mia mostra personale!

Sono stata molto felice quando, attraverso la mediazione del caro amico e artista Maurizio Camerani, ho ricevuto l’ invito per fare una mostra personale alla galleria zanzara arte contemporanea di Ferrara, che mi ha anche chiesto un intervento performativo partecipativo con studenti del locale Liceo artistico.

Non so se per altri artisti sia così, ma personalmente quando vengo invitata da qualcuno a proporre il mio lavoro provo una gioia immensa e una grande dose di eccitazione. Innanzi tutto perchè vuol dire che ci sono persone che credono in me e desiderano promuovere il mio lavoro, e questa è una carezza per l’anima e uno stimolo di riconoscimento per gli sforzi che si sono messi in campo in precedenza.

Poi perchè è bellissimo poter esporre quello che si fa, soprattutto se lo spazio, come in questo caso, è ampio e si può pensare a qualcosa di esaustivo e completo. L’arte si fa per essere vista, nessuno vuole creare e tenere le sue opere – siano esse di arte visiva, narrativa, musicale, filmica, ecc. – nel cassetto. E’ una contraddizione di termini.  Non so per gli altri artisti, ma per me creare e fare arte nascono da un’esigenza impellente di comunicare agli altri qualcosa di profondo, di donare agli altri qualcosa che mi appartiene o di cui, a volte, sono umilmente tramite. Il punto cruciale è questo passaggio: da me a te (chiunque altro, anzi più chiunque possibili, perchè il nostro anelito a comuncare è universale e vorrebbe parlare a tutti! ).

 

Viene però il momento di concretizzare realmente cosa si espone, cosa si desidera far vedere agli altri. E qui arriva come sappiamo anche un po’ di ansia: la rosa delle possibilità e delle scelte che implicano degli scarti, la paura di non fare bene o di sbagliare, l’ansia di non farcela a tenere insieme tutto: dal rapporto coi galleristi, alla produzione delle opere nuove, alla logistica dei trasporti, alle cose che dipendono da te e a quelle che non dipendono da te. A volte capita che l’ansia sale così tanto che non si vorrebbe fare più la mostra! oppure che ci immaginiamo scenari funerei e drammatici (la mostra viene cancellata per misteriosi motivi, i trasporti non si riescono ad organizzare, le opere non vengono prodotte in tempo anche se c’è tempo ecc…).

 

 

In più, per me è la prima mostra importante che faccio dopo la nascita di Sole, per cui mi si sono aggiunte le ansie di non farcela a gestire tutto perchè ora i tempi che ho sono pochi, e precari, sono dipendenti dalla salute di Sole e dai nostri spostamenti. Se prima di diventare mamma, per ogni appuntamento artistico che mi riguardava mettevo tutta me stessa al centoxcento, facendo anche le notti per finire qualcosa – successe fino a quando ero incinta, che passai la notte a dipingere a mano le lettere sul vestito della mia performance alla Biennale prima di partire per Venezia – adesso so e SCELGO che la mia priorità è sempre Sole, che non posso usare il centoxcento del mio tempo anche se è fondamentale, e che devo tenermi pure pronta agli imprevisti. Non so come altre artiste – in questo caso mi pare ci sia proprio una questione di genere – si vivano questo fatto, ma per questa mostra personale a Ferrara, ho avuto molte ansie e molte paure. Mi piace confessarlo, anche perchè è solo affrontando le proprie fragilità che poi si superano.

 

 

E così ho fatto. Lavorai sulla mia energia e mi ritrovai in studio per molti mesi a decidere come muovermi e cosa scegliere per la mostra. Fortunatamente il tempo c’era, e dopo un po’ di panico sono riuscita a fare delle sessioni decisionali ed operative molto profonde succose e divertenti, cosa che riempie di ebbrezza, perchè questo è proprio ciò che mi piace fare. Fare l’artista, fare opere, decidere cosa esporre, respirare quella libertà assoluta di scelta che solo l’arte ti può dare… è stata un’esperienza iniziata con la paura e terminata con la gioia pura e con la soddisfazione, compreso quando le galleriste sono venute a Milano per lo studio visit e si sono trovate d’accordo su tutte le scelte che avevo fatto.

 

 

Non nascondo che  ho avuto alcune difficoltà, non artistiche ma logistiche, poi risolte abbastanza facilmente. Nel tempo della preparazione prima ero a Milano, dove mi muovo bene e conosco fornitori e dove reperire persone e cose, ma poi per l’estate ci siamo spostati a Rimini, dove complice il caldo, il quarto piano senza ascensore, Sole a casa dall’asilo per tre mesi, e più difficoltà a reperire le persone e i materiali, tutto si trasforma in qualcosa di lentissimo e complicato. Fortunatamente, avendo ciò ben chiaro, il grosso della mostra è stata decisa, completata e trasportata quando ero a Milano, per cui a Rimini nei mesi estivi mancavano solo i dettagli più piccoli e marginali, che non vanno trascurati comunque.

 

 

Abbiamo inaugurato a Ferrara il 22 settembre, ero molto elettrizzata e felice. Dopo molti tergiversamenti e riflessioni decisi di andare a Ferrara da sola, sarei rimasta via una notte senza Sole per la prima volta in assoluto da quando lui era nato. Ho pensato che per lui sarebbe stato difficile e noioso stare in galleria – anche se avevo una donna alla pari che sarebbe venuta per stare con lui – e poi alla cena, e poi il giorno dopo avevo una performance da fare coi ragazzi del liceo artistico Dosso Dossi di Ferrara, e poi c’era il talk sulla videoarte di Silvia Grandi. Per cui, essendo tornato dal Canada anche Mario, ho deciso che era meglio lasciare Sole a Rimini a casa sua, con Mario e con la tata, ed io andare a Ferrara sola e leggera. E’ stato bellissimo prendermi quella pausa e godermi concentrata e da sola i momenti dell’opening, della serata e del giorno dopo, così come è stato bellissimo tornare da Sole, e avere un centro a cui tornare, a cui tutta la mia vita fa riferimento. Ho provato una ebbrezza intima e magnifica: essere pienamente artista e pienamente mamma al tempo stesso, e benedire la Vita che mi ha concesso questo regalo meraviglioso di coronare la mia vita con un bimbo straordinario, che è il motore di tutta la mia gioia!!

 

Ringrazio le galleriste di zanzara arte contemporanea per la dedizione e la passione che hanno messo per preparare e mantenere la mia mostra, ringrazio il pubblico, il loro entusiasmo e i loro commenti. La mostra è su per tre mesi e ciò mi sembra pure molto bello, e ringrazio tutti coloro che sono andati o andranno a vederla!

 

 

veduta della mostra sala 1. Objects Polyptics e scatole da performance

 

veduta della mostra sala 2. The Finger and the Moon Polyptics e video a due canali

 

veduta della mostra sala 2. Streaps

 

veduta della mostra sala 2. Streaps

 

veduta della mostra sala 2. Il cieco di Gerico, dittico interattivo

 

Il cieco di Gerico, dittico interattivo, insieme alle due galleriste.

 

veduta della mostra sala 3. Videoproiezioni di 5 opere video in loop e oggetti delle performance

 

 

 

208. Benvenuto nuovo anno!!! Nel 2023 festeggio 30 anni di performance e arte!

Ho iniziato l’anno a Ischia, come amo fare ormai da alcuni anni, cullata dal clima mite, dall’aria buona e dall’acqua delle terme.

Anche il mio cruciale, incredibile, benedetto anno 2019, anno in cui è nato Sole, è cominciato ad Ischia, con un primo gennaio memorabile, che ha segnato il buon auspicio di tutto l’anno e di cui ho scritto qui.

Questo 2023 si prospetta proprio un bell’anno. E’ cominciato in maniera più placida di quell’altro, ma con una grandissima serenità e ricolma dei miei affetti fondamentali e di ciò che per me è più importante. Come un rituale simbolico – perchè per me il primo gennaio è la condensazione simbolica di tutto l’anno – ho fatto tutto ciò che è fondamentale per la mia vita e che mi esalta. La spiritualità, Sole e il nostro amore e il mio essere mamma, l’arte, la natura, il mare, le camminate, i massaggi, il trattarsi bene e coccolarsi… non è mancato nulla, e sono molto fiduciosa e anzi certa della bellezza di quest’anno appena iniziato.

 

Nel 2023 festeggio i 30 anni di arte e performance: il 1993 è l’anno in cui misi in scena la performance ‘La margherita dai petali colorati‘ al Centro d’Arte Masaorita a Bologna. In realtà avevo fatto proprio al Masaorita la mia prima sperimentale performance nel 1992, unendo il testo di una mia fiaba (Zucchero e le fragole), coi miei disegni proiettati alle musiche scritte da Nicola Corsi, ma di quella performance non mi è rimasta documentazione se non una foto e il biglietto di invito. Nel 1991 avevo pure partecipato a una collettiva di mail art, ma ho scelto di fissare nel 1993 l’anno del mio ‘debutto pubblico’ nel mondo dell’arte.

Da lì molta acqua è passata sotto i ponti e mi siedo da soddisfatta spettatrice a guardare ciò che è successo e il mondo che ho costruito col mio lavoro, assaporando saggiamente le gioie di sentirsi su delle fondamenta che ho a poco a poco costruito, e la certezza di poter su queste continuare a costruire castelli.

Trent’anni sono un buon spartiacque, si può sostare un po’ guardando la strada che si ha percorso e da quell’altura guardare al futuro e prepararsi per la continuazione del cammino.

 

Mi piace l’idea in questo post di fare una rapida carrellata di momenti e di performance salienti, ma senza una organicità precisa, un po’ come mi vengono in mente. C’è stata la primissima fase, negli anni ’90, quella delle ‘performance multimediali’, come le chiamavo, in cui in vari contesti e vari modi univo mie immagini, miei testi, miei gesti, aggiungendo musiche oggetti e spazialità. Ne feci molte, varie delle quali non documentate, perchè allora era piuttosto costoso avere dei cameraman o dei fotografi ed io nè potevo permettermeli, nè ci pensavo sempre a documentare ciò che avveniva nell’attimo del performare.

Di questa fase mi piace ricordare la performance Oltre il limite  fatta al Praga Cafè di Bologna nel 1997.

 

LIUBA, Oltre il limite , 1997, Praga Cafè, Bologna

 

Poi all’inizio degli anni 2000, esattamente nel 1999, c’è stata una svolta: sentivo che fare performances nei contesti del mondo dell’arte mi stava stretto e volevo uscire nella realtà quotidiana, così cominciai a fare performance nelle strade della città, mischiata fra i passanti, che reagivano in diversi modi. La prima performance di questo tipo è stata a Milano, nelle strade cittadine, intitolata Le Mummie Vincenti. In questa performance camminavo imprigionata in due grosse scatole, rendendo in questo modo ‘visibili’ le costrizioni e le gabbie ‘invisibili’ ma reali in cui noi tutti siamo immersi nella nostra vita. Per fare questo tipo di performance ho avuto la necessità di documentarle con il video, per farle fruire anche dopo l’azione, visto che erano per le strade. Poi mi accorsi che il video era interessante anche per documentare le reazioni delle persone e il tessuto delle città, e in questo modo cominciai a usare il video come opera finale delle performance. Per questo primo video mi fu di grande aiuto il mio amico regista-musicista Francesco Leprino, che fece le riprese della performance e con molta pazienza mi diede i primi rudimenti di montaggio, per poter diventare autonoma e montarmi in seguito i video da sola.

 

LIUBA, Le Mummie Vincenti, 1999 fotografia da monitor con video di performance, cibachrome su alluminio, 100×70 ed.6

 

 

Mi interessò così tanto la reazione delle persone che l’anno seguente, per Bologna Capitale Europea della Cultura 2000, feci un progetto per fare questa stessa performance nelle allora capitali europee della cultura. Il progetto, che si chiamava Polypolis (che significa, in greco, tante città) fu scelto e prodotto da Cafe9.net e col mio amico cameraman Ciro d’Aniello partimmo in una mini turnè alla volta di Bruxelles, Praga, Avignone (e Bologna giocando in casa) ripetendo la stessa performance, che ebbe esiti e reazioni completamente differenti, come differenti erano le città e le persone che le abitavano. Ciò si vede molto bene nelle opere video che ne sono scaturite, montate insieme a Ciro, e poi esposte, in una bellissima videoinstallazione gigante alla Salara di Bologna nel 2001.

 

LIUBA, Polypolis Brussels, 2000, fotografia da monitor con video di performance, cibachrome su allumino, 100×70, ed.6

 

 

Nel 2003 incominciai invece ad andare in mezzo alla vita reale negli opening delle mostre, in particolare alla Biennale. Ne Il cieco di Gerico andai all’Opening della Biennale come una normale visitatrice del pubblico, indossando però degli occhiali stuccati di bianco in cui ‘si vedeva’ che io ‘non vedevo’, ma camminavo ‘come se vedessi’… metafora della vita e metafora dell’arte. Ciò che mi sembrava più interessante era questo mischiare la vita con l’arte: io in effetti ero una visitatrice della mostra, ma altrettanto stavo facendo una performance, rendendo ambiguo il confine fra arte e realtà. Poi ho continuato con questa abitudine di andare agli opening come una visitatrice ma performante allo stesso tempo: per esempio nel 2004 a Bologna con Virus dove visitavo la fiera vestita completamente di pallini rossi e appiccicandoli sotto le opere, creando una gran confusione fra ciò che era venduto e ciò che non lo era, divertendo e indignando visitatori e galleristi ( a New York, dove l’anno successivo rifeci la performance, addirittura mi espulsero dalla fiera – nonostante fossi stata invitata da una galleria che stava pure esponendo le mie opere – perchè avevo osato toccare il dio denaro. Ciò si vede bene nel video Virus New York ricavato dalla performance).

 

LIUBA, Il Cieco di Gerico, Opening Biennale di Venezia, 2003, videostill su plexiglass, ed 3 +2ap

 

 

E così via, feci varie performance a sorpresa alla Biennale, come Side by Side, The Finger and the Moon #1, This is not a performance art piece, e in vari altri luoghi, come Art is Long, Time is short alla Fiera di Basilea. Nel frattempo continuavo a fare performance nelle strade e in contesti di vita reale: sulla spiaggia di Rimini (Rimini Rimini), per le strade di New York e altre città nel mio ongoing The Slowly Project.

E’ stato molto divertente ma anche molto stancante, perchè per ogni performance, oltre alla spesso lunga preparazione della performance stessa, per montare i video mi perdevo nelle ore e ore di girato che avevo dal mio o spesso dai miei cameraman nascosti, e la realizzazione dei video delle perforamcne è stato sempre per me un lavoro faticosissimo e molto lungo, seppur pieno di soddisfazione e piacere. Oddio, avrei in un certo qual modo sempre sognato di trovare un alter ego che montasse i video per me, ma era impossibile perchè per creare un video bisogna modellare il materiale che si ha come fosse una scultura, sì un po’ come il blocco di marmo di Michelangelo: si comincia con un grosso blocco informe (e per il video: con decide di ore di girato, molte delle quali magari mosse o imperfette dato che sono fatte di nascosto e non in un set) per plasmare, modellare, togliere, strutturare a poco a poco. E da uno stesso girato possono uscire mille video differenti. Per quello che devo farli tutti da sola, sudando 7 camicie!! (forse se avessi ingaggiato un bravo regista avrebbe fatto prodotti migliori dei miei, ma io sono ancora per un lavoro artigianale ed eseguito personalmente, anche se si tratta di lavoro digitale.)

Per chiudere il discorso, vi rivelo che ho nel cassetto ancora molte riprese di mie performance delle quali ancora non ho montato o non ho finito i video! Insomma, il lavoro non mi manca per i prossimi vent’anni!

 

LIUBA, Virus, Arte Fiera Opening, 2004, videostill on plexiglas, ed.3+2ap

 

A un certo punto ho cominciato a fare performance partecipative e collettive. Già nei lavori precedenti le reazioni del pubblico e le altre persone erano oggetto del mio interesse e uno dei perni del mio lavoro. Poi decisi di coinvolgere le persone direttamente nelle performance, per far diventare le persone attive e non passive nella fruizione di un’opera. Mi interessava creare dei meccanismi in cui le persone potessero entrare e mettersi alla prova, attraverso il loro corpo e la loro partecipazione alla performance. Fu così che nacquero lavori come The Finger and the Moon #3 con la partecipazione di persone di varie fedi religiose al Museo S. Agostino di Genova, la serie delle performance con e sui rifugiati realizzate a Berlino e in Italia, o i tanti ‘ciechi di Gerico’ che camminavano senza vedere in Tiresia Marittima, un progetto parte di una mia mostra personale realizzata nella mitica Galleria Marconi (che ora ci manca tanto perchè non esiste più).

 

LIUBA, Tiresia Marittima, participative performance, 2017, Photo: Catia Pancera

 

LIUBA, YOU’RE OUT, participative performance, Berlino 2014, videostill from performance

 

 

E poi cosa ho fatto? ho fatto una cosa straordinaria!! Ho fatto un figlio!!!!!!!

 

La mia opera migliore, my Best Artwork. A lui ho dedicato la mia performance This is the Best Artwork, realizzata durante la mia gravidanza alla Biennale di Venezia del 2019.

Da lì in poi ho adorato fare la mamma ed occuparmi soprattutto del mio Sole… e poi c’è stato pure il Covid, che cancellò parecchi appuntamenti, come per tutti, ma che mi lasciò serena e tranquilla ad occuparmi del mio bambino.

 

Ora arrivo qui, a festeggiare i trent’anni di attività, con un pochino di orgoglio nel cuore e pronta, oltre che a riposarmi un po’, a riprendere la mia attività con più entusiasmo che mai, con l’uscita di un progetto a cui tengo tantissimo e covato con amore negli ultimi 3 anni, pronto a nascere e spiccare il salto! (Stay tuned!!)