17. La disinfezione, la pulizia, la ripartenza e le mostre

Il lunedì mattina arrivo a casa e lo sterminatore ha lasciato tutto ribaltato e rigirato. Nella casa non si gira, passo tutto il giorno a pulire e disinfettare ogni cosa, porto una valigia di lenzuola e cose varie in lavanderia, acqua calda per disinfettare tutto, e per lo stress – e anche perché son fuori di melone –  sbaglio pure e faccio partire la macchina senza il sapone, per cui la devo fare due volte e aspettare il doppio (40 minuti ogni macchina e una mezzora l’asciugatrice … nel frattempo aspetto due tipi che devono portare il materasso nuovo e buttare via quello che era infestato, insomma passo così tutta la giornata e disinfetto ogni cosa. Un lavoro duro ma almeno ora so che ogni centimetro di questi 25 metri quadrati di casa è a posto . Ora sono davvero pronta per iniziare e a concentrarmi solo sull’arte e sui contatti.

 

Notizie in breve della settimana: ho fatto il giro delle Università, parlando con persone e lasciando il curriculum e candidandomi per insegnare;  incontrato Dale e preparato una performance-laboratorio sulla tematica del bullismo da fare con bambini e adolescenti in una scuola di Harlem; sono andata più volte a Chelsea a vedere mostre alle gallerie; sono uscita con diverse persone; sono andata a una festa di italians americans che all’inizio era una bolgia noiosa ma poi ho conosciuto gente interessante; sono andata al cinema a vedere ‘The Black Swan’ (discreto, anzi così così); sono andata a Williamsburg a delle inaugurazioni ma faceva un freddo porco e le gallerie non sono mica tutte vicine come a Chelsea, per cui ne abbiamo viste due o tre, e tutte con mostre poco interessanti, poi con Peter siamo finiti in un più caldo locale con musica jazz dal vivo, e poi siamo andati ad Harlem in un locale reggae; ho preso degli appuntamenti molto importanti per la settimana prossima; sono stata a un concerto gospel in onore di Marthin Luther King, di cui domani (17 gennaio) è festa nazionale; ho riflettuto sulla storia con Mario, a volte soffrendone, a volte sentendomi liberata;  ho fatto colpo su diversi uomini giovani e interessanti; sono assiderata di freddo come gli altri newyorkesi in queste tre giornate di sottozero intenso (ma per lo più col cielo azzurro);  ho perso e trovato chiavi occhiali e guanti; sono andata a fare pedicure e manicure con massaggio; ho scambiato e-mail focose con la persona che mi aveva affittato la casa coi bed bugs (ma ci siamo accordati su uno sconto consistente); ho mangiato un po’ di qua un po’ di là ma sempre bene, a parte oggi dove mi sono fermata al brunch a Marble Church dove il pesce era impanato crudo e il pollo galleggiava in una salsa bianca cattiva copia di una besciamella mista a budino.

 

Una delle cose che ho più goduto è stata la enorme mostra di Rauschemberg da Gagosian. Beh, dire Gagosian non è dire noccioline, e questa mostra era più ampia che un’antologica in un museo, una decina di capannoni pieni di almeno una cinquantina di lavori, non scherzo. E ce n’erano alcuni di un semplicità e di una bellezza sconvolgente. In quel momento che li vedevo ero davvero felice. Leggera. Quel giorno ho girato le gallerie di Chelsea con metodo scientifico e gallery guide in mano, scannerizzando tutta la situazione artistico espositiva. In un’intera giornata ho fatto solo la 21th, la 22th e la 23th street. Per chi è già stato a Chelsea sa che quasi tutte le gallerie sono enormi, spazi tipo capannoni spesso con diverse stanze e sezioni, le mostre sono spesso museali con installazioni di metri e video in schermi giganti. Finalmente, dopo le delusioni delle inaugurazioni delle ultime settimane, ho visto delle mostre interessanti e professionali, e non la solita pittura-esercizio-effetto-vendita facile che avevo visto poco tempo fa. Ciò che mi piace qui a New York è che si vede di tutto, e si vede anche tantissima qualità, e ci sono così tanti posti che ti sembra che tutti siano sempre ben disposti a considerare nuove proposte se ben fatte (cosa peraltro che è così). Da noi il senso di staticità è insopportabile ed è una delle cose che più mi opprime. Giorni addietro ho visto delle ottime mostre anche alla Location One a all’Artist’s Space in Soho, due spazi di ricerca e avanguardia molto conosciuti. E mi è piaciuta moltissimo anche una mostra alla Drawing Gallery, sempre a Soho che esponeva i lavori degli artisti ispirati ai loro ‘jobs’ per sopravvivere. Al contrario del nome della galleria non c’erano soltanto disegni, ma tutti i media, con particolare attenzione per il video.

 

Sono molto emozionata poiché domani mi incontrerò col famosissimo performer Tehching Hsieh, quello delle One Year Performance, di cui avevo visto la mostra al Moma l’anno scorso e con cui sono in contatto per e-mail. Ah, altra cosa interessante della settimana è che sono andata a fare un corso di yoga in un posto che si chiama Yoga to the people: tu vai lì quando vuoi, il giorno che vuoi, e partecipi al corso – ce ne sono dalle 7 di mattina alle 9 di sera in continuazione – pagando una piccola offerta. Eravamo in metà di mille (c’era anche una che aveva credo almeno una cinquantina di interventi di chirurgia estetica tra le labbra gli zigomi gli occhi le sopracciglia le tette le natiche ecc … lo dico perché era così eccessiva – o… eccessivo? – che sembrava un cartoon dei fumetti, e se ve lo racconto è perché anch’io, che sono tollerante e aperta per natura, mi sono quasi scandalizzata …), coi tappetini uno vicino all’altro, e quando è cominciata la lezione era una corsa infinita, un ritmo pazzesco. Anche lo yoga era energetico e di corsa! New York non è certo una città che ti accarezza, ma che ti sferza continuamente, e volendo o nolendo la vita ti salta addosso, tranne quando sei così spompata che devi passare alcune ore a vegetare sennò non ti riprendi più. E questo lo fanno tutti, sono così presi che anche telefonare alle persone è un’impresa, perché nessuno risponde più al telefono, piazzano la segreteria e quando emergono dall’apnea – da lavoro o da ripompamento che sia – chiamano, trovando a loro volta le segreterie degli altri, in un cerchio infinito e a volte grottesco. Questa storia è anche nata dal fatto che qui il cellulare si paga sia per chiamare che per essere chiamati. Ossia i minuti vengono contati come conversazione, indipendentemente da chi chiama o riceve. E così nessuno vuole parlare più del necessario. Ora però fortunatamente ci sono quei piani tariffari tutto compreso, e pure molto convenienti, come quello che ho io che per 30 dollari al mese ho 1500 minuti di conversazione e sms.

 

 

16. Capodanno, post capodanno, litigi vari e bed bugs

 

Il 31 mi sono divertita tantissimo, siamo andati a due belle feste, abbiamo bevuto tutta sera champagne, e ballato tantissimo a un party di due artisti gay scozzesi nell’East Village, dove mi avevano invitato le sempre informatissime Amanda e Doreen.

 

Ma i problemi cominciano subito dal risveglio dell’1 mattina. Quando Mario è nervoso diventa intrattabile e invece di tenerezze o romanticismi comincia a imprecare per il caldo (sì a New York gli appartamenti sono stracaldi, ( Per fortuna! Dico io … ).
Poiché in Canada mi ero beccata una specie di influenza che ho miracolosamente tamponato per affrontare il Capodanno, non potevo prendere freddo, mentre Mario anche in inverno starebbe con la finestra spalancata tutto il tempo, ma io ero raffreddata. Così si innervosisce (fa tutto da solo) scatta ed esce, io gli dico che avevamo preso l’ananas e altre cose per fare una bella colazione romantica insieme il primo dell’anno e lui si arrabbia dicendo che lo forzo, prende ed esce, ed è già la solita bufera.

 

Fortunatamente il pomeriggio avevamo una festa di capodanno diurna dalla famiglia che mi ha ospitato a Brooklyn quando sono arrivata, così non dovevamo stare soli, perché c’era aria di tempesta. La festa era carinissima, io sto benissimo, lui pure, poi arriviamo a casa e decidiamo di andare al cinema, andando però in giro nella zona Times Square. Litighiamo per una stupidata della strada da fare e di dov’è il cinema, ma quello che non tollero è che lui scatta imprecando ed avendo crisi di nervi, che io trovo totalmente fuori luogo e che mi spaventano. Comunque, non voglio tediarvi, ma il 2 la tensione aumenta per cretinate, andiamo a Coney Island e quando torniamo usciamo dalla metro a Chinatown. E’ sempre difficile orientarsi quando si esce da una metro a New York, perché tutto può essere sud ovest est o nord. Di solito se non mi oriento io chiedo, perché odio andare dalla parte opposta, ma Mario mi dice che secondo lui è di là. Ok, dico. Poi mi chiede conferma di cosa penso. Dico che non so orientarmi, se vuole chiedo a qualcuno. No, dice, è di là. Ok, dico, e continuo ad ascoltare la musica con l’ipod, anche per fargli prendere l’iniziativa, dato che il litigio dell’1 per il cinema era che lui si è arrabbiato che ho chiesto ad altri … così lo seguo, ma lo vedo nervosissimo, arriviamo ad Hallen Street, e mi chiede se la strada mi dice qualcosa, sì dico, ma non so dove siamo perché ti stavo seguendo, e lui comincia a diventare paonazzo, esplode in ira e in scintille trattandomi malissimo dicendo che non collaboro, ecc … io non so più che fare e che pensare, lui fa un crescendo di ira, prende e fugge, va a casa e fa la valigia, torno a Montreal dice, è meglio per tutti e due. Ok gli dico, vai se vuoi, questa volta non sconvolgendomi e non piangendo, perché era davvero assurdo il suo comportamento.
Vado al cafè internet davanti a casa ( da Nora non c’è internet) e mi chiudo in me stessa. Lui gira per New York con la valigia poi alla sera decide di rimanere. Facciamo pace, ne parliamo tutta notte, parliamo come sempre di ciò che fa scattare lui o che fa scattare me, la mattina mi regala dei fiori, io mi commuovo.
Il giorno dopo dovevamo traslocare per la nuova casa, io ero eccitatissima, lui non si sa quanto sarebbe stato a New York, ma gennaio se l’era preso libero per affittarla insieme. Trasportiamo tutto col taxi, arriviamo là è piccolissima microscopica e vecchissima, ma in Mc Dougall street nel West Village, proprio il quartiere dove Kevin mi accoglieva quando venivo a New York alcuni anni fa, e che considero un po’ ‘la mia zona’.
Io contenta, Mario contento, mi dice meno male che sono rimasto. Andiamo a cena a festeggiare.

 

La mattina dopo lui si alza con dei pizzichi e diventa nervosissimo. A New York c’è l’allarme, da tanto, di un’epidemia di bed-bugs, che sono animali che si ficcano nei materassi e si possono sparpagliare ovunque,  e Mario è convinto che la casa ne sia infestata, e mi stressa dicendomi che dobbiamo andare via, che bisogna risolvere il problema … ecc … io non sono stata pizzicata e ho dormito benissimo, dico aspetta, non drammatizzare, ma lui vuole litigare dicendo che non lo aiuto a risolvere i problemi (cosa???? Allora perché non trova lui l’alternativa?)  poiché i pizzichi sono aumentati, e sono molti, la notte seguente decide di dormire per terra, allora cominciamo ad avvisare chi possiamo del problema, ma la proprietaria è in Italia e non risponde alle e-mail, nella casa non funziona la connessione internet per cui niente skype, ecc.
Io ( e perché sempre io?? Lui mi stressa, dice che non mi occupo di lui, mi tratta male, esplode in ira, ma non fa niente di niente) chiamo l’amica della nostra affittuaria che ci ha dato le chiavi, e l’amministratore del palazzo, che dice che bisogna chiamare l’exterminator e lavare tutti i vestiti in casa, ecc, ecc. che si attiverà, ecc. ecc. Mario impazzisce, è come se dà la colpa a me, e tutto diventa incubo, la casa vecchia e sporca, Mario fuori di testa coi pizzichi dei bad-bugs, io terrorizzata dai suoi furori … Mario dorme un’altra notte sul pavimento. La mattina appena alzata vado in pigiama nel cucinino (l’unica altra parte della casa, dove lui ha dormito) e Mario mi apostrofa trattandomi male dicendo che col mio pigiama gli porto l’infezione. Io deliro ma mi tolgo subito il pigiama – perché ho paura davvero quando si arrabbia – lo metto sulla scala del soppalco, rimango nuda e vado a fare la doccia, e lui sento che esplode come una jena che il pigiama era sulla scala del soppalco e non sopra il letto, esplode in improperi fa la valigia e grida per l’ennesima volta che se ne va, e prende ed esce con tutte le sue cose. Io rimango frastornata e piangente, arrabbiata, delusa che non funziona mai niente, e piango nella casa coi bed-bugs.
Dopo qualche ora mi telefona che è alla stazione delle corriere per prendere il bus per Montreal, io sto malissimo sento che la storia è davvero finita e forse è pure un sollievo, però mi arrabbio anche perchè come al solito lui prende e scappa, lasciando me a risolvere tutti i problemi,  prende e va, come ha fatto tante altre volte … Ha preso il bus per Montreal ed io sono rimasta a New York, sono stata accolta da Janet, che pazientemente ha ascoltato i miei pianti e il bisogno di sfogarmi, e ho dormito da lei. Anche se ferita e delusa, sono triste che questo amore non porta frutti, che ci amiamo ma ci facciamo del male, e in fondo al cuore so che forse devo ringraziare Mario che sta fuggendo, perché mi dà tregua da questo rapporto che non funziona più.

 

Mi sono svegliata stamattina senza aver dormito quasi niente, e sono andata alla funzione in una chiesa chiamata Marble Church (non so bene a quale delle mille confessioni cristiane che ci sono qui appartiene) dove c’è una celebrazione strana che sembra un concerto e uno show, e dove ci sono persone simpaticissime, che avevo scoperto per caso i primi giorni a New York. Sapevo che dovevo farmi coccolare da Dio e da Lui trovare una risposta. Piansi tantissimo, ma anche tramite le parole dolcissime di Dale, (una giovane donna di Harlem, conosciuta l’altra volta e con cui ero rimasta in contatto, ed è stata la prima persona che ho trovato – non a caso – nella folla festeggiante del dopo funzione (lì fanno sempre incontri pranzi e feste e la chiesa è un edificio con 10 piani dove c’è di tutto) e le parole poste da Dio dentro il mio cuore, ho capito che forse è meglio così, perché tutto ciò è successo per non perdere tempo distruggendosi, ma perché devo ricominciare  a focalizzarmi su di me, come avevo fatto faticosamente nell’ultimo periodo in Italia, e portare avanti gli obiettivi, andare avanti nell’arte e poter dare sempre di più questi doni, e cominciare finalmente a vivere questa città con lo stupore negli occhi e cominciare a reagire, ringraziare di tutte le persone, e sono molte e sono ovunque, che mi sono vicino e che mi amano e che desiderano fare delle cose con me (e ho avuto sentori e segnali).

 

Il pomeriggio sono andata di nuovo nella casa dei “bed-bugs”, doveva arrivare lo sterminatore, mi sono rimboccata le maniche e ho dovuto liberarla da tutte le cose che c’erano, era sporchissima e c’erano un sacco di cose della padrona di casa sparse ovunque che andavano imballate nei sacchetti, ecc, ecc.
Ora vi scrivo da un internet cafe, stasera ancora dovrò dormire fuori, domani risolvere dove mettere le cose, rigirare la casa come un calzino, portare tutto in lavanderia, ecc … ma questa è New York, dove tutto succede, dove tutto succede velocemente, e dove tutto è imprevedibile. Non sono arrabbiata con Mario, lo amo ancora, e amo le sue ferite, così come amo le mie ferite, provo compassione per il suo dolore, così come provo compassione per il mio dolore, ma io venendo qui ho messo tutta la buona volontà e tutto l’impegno possibile per mettere insieme una convivenza con lui, e solo a New York sapevo che la sofferenza non ha tempo per rimanere, che bisogna voltare pagina, e cercare di gioire di questa città e trarre i frutti che è pronta a darci.

 

Mario mi ha chiamata nel pomeriggio, mentre io stavo combattendo da sola contro i bed-bugs, dicendomi che era tristissimo e soffriva, così come anch’io gli ho detto che ero tristissima e soffrivo, ma stava arrivando lo sterminatore e bisognava che preparassi le robe di quella casa nei sacchi, non avevo più tempo per soffrire delle nostre ferite e della nostra storia che non funziona, lui era scappato, ma io ero qui da sola a New York a dover combattere la battaglia. Non so cosa succederà, so però che bisogna andare avanti, e io voglio combattere la battaglia, e vivere e gioire, e seguire le vie che ci sono preparate.