182. Zygmunt Bauman e la sua attualità

Ho letto nei mesi scorsi due libri illuminanti di Zygmunt Bauman,  “Dentro la globalizzazione”, libro profetico e attualissimo, scritto nel 1998, e  “Vita liquida” del 2005.

 

Ciò che mi sembra di cruciale importanza, rispetto alle tematiche attuali che stiamo vivendo, è la sua tesi in cui sostiene che la società ‘liquida’ sta causando una sempre più libera circolazione di persone, di capitali, di idee e di comunicazioni – i ‘ricchi’ oggi sono coloro che possono muoversi – ma al tempo stesso causa uno stagnamento e un impoverimento delle possibilità per le persone e le classi che non possono muoversi. Se al contrario di un tempo in cui i ricchi erano legati alle loro ‘proprietà’, che erano dei beni immobili, oggi i beni sono mobili e un rendimento economico può essere realizzato in disparate parti del mondo, anzi si sposta in diverse parti del mondo, lasciando chi non può muoversi altrettanto liberamente (o a chi viene impedito di muoversi) in luoghi che non hanno più risorse di lavoro o che sono tormentate da conflitti devastanti.

 

Preferisco però fare parlare Bauman, con le sue cristalline e taglienti parole. Cito alcune sue frasi essenziali, un po’ a random, tutte tratte dal libro del 1998, che hanno una profetica aderenza a ciò in cui siamo immersi oggi:

 

“I mondi sedimentati ai due poli, al vertice e al fondo della emergente gerarchia della mobilità, differiscono nettamente. Per il primo mondo, il mondo di chi è mobile su scala globale, lo spazio ha perduto la sua qualità di vincolo e viene facilmente attraversato sia nella sua versione «reale» sia nella sua versione «virtuale». Per il secondo mondo, quello di coloro che sono legati a una località, di coloro cui è vietato muoversi, costretti perciò a sopportare in modo passivo qualsiasi cambiamento che il luogo cui sono legati è costretto a subire, lo spazio reale si va rapidamente restringendo. (…)

I residenti del primo mondo vivono nel tempo; lo spazio non conta per loro, dato che attraversare qualsiasi distanza è ormai istantaneo. (…) I residenti del secondo mondo, invece, vivono nello spazio: pesante, gommoso, intoccabile, che lega il tempo e lo tiene al di fuori del controllo dei residenti. (…)

Per gli abitanti del primo mondo – il mondo extraterritoriale, sempre più cosmopolita, degli uomini d’affari globali, dei manager della cultura globale, degli accademici globali – i confini statali sono aperti, e sono smantellati per le merci, i capitali, la finanza. Per gli abitanti del secondo mondo, i muri rappresentati dai controlli all’immigrazione, dalle leggi sulla residenza, dalle «strade pulite» e dalla «nessuna tolleranza» dell’ordine pubblico, si fanno più spessi. (…) I primi viaggiano quando vogliono, dal viaggio traggono piacere, sono indotti a viaggiare o vengono pagati per farlo e, quando lo fanno, sono accolti col sorriso del benvenuto e a braccia aperte. I secondi viaggiano da clandestini, spesso illegalmente. Accade ancora che paghino per l’affollata stiva di barche puzzolenti e rabberciate più di quanto gli altri non paghino per il lusso dorato della «classe affari».” pp. 98-100

 

“Piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, l’annullamento tecnologico delle distanze spazio-temporali tende ad annullarla. Emancipa alcuni dai vincoli territoriali e fa sì che certi fattori generino comunità extraterritoriali, mentre priva il territorio, in cui altri continuano ad essere relegati, del suo significato e della sua capacità di attribuire un’identità. (…) Quando le «distanze non significano più niente», le località, separate dalle distanze, perdono anch’esse il loro significato. Questo fenomeno, tuttavia, attribuisce ad alcuni una libertà di creare significati, dove per altri è la condanna a essere relegati nella insignificanza.” p. 22

 

“Le ricchezze sono globali, la miseria è locale.” p. 83

 

“… è così difficile, senza sentirsi colpevoli, negare ai poveri e agli affamati il diritto di andare dove l’abbondanza di cibo è maggiore; ed è virtualmente impossibile avanzare argomenti razionalmente convincenti per provare che le migrazioni sarebbero, per loro, decisioni irragionevoli. La sfida è davvero terribile: si deve negare agli altri lo stesso diritto alla libertà di movimento di cui si fa panegirico definendolo il massimo risultato della globalizzazione mondiale…” p. 85

 

 

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